lunedì 17 settembre 2007

GESTIONE DELLE ULCERE VENOSE DEGLI ARTI INFERIORI:TERAPIA COMPRESSIVA E MEDICAZIONE TOPICA.

1.1 DEFINIZIONE DELL ‘ IVC (1)

L’insufficienza venosa cronica (IVC) è conseguente ad uno scompenso del funzionamento delle vene periferiche.
Il ritorno del sangue verso il cuore, in equilibrio con le necessità tissutali, non è più garantito non solo in posizione ortostatica, ma anche clinostatica. L’IVC tuttavia non riguarda unicamente le vene (fattori vascolari), ma anche ogni causa che alteri il ritorno venoso –pompa muscolare del piede del polpaccio e coscia, alterazioni della motilità articolare del tessuto connettivo ( fattori extravascolari).
Si possono distinguere un’insufficienza del sistema venoso superficiale, del sistema profondo, o di entrambi.
La chiave di volta delle manifestazioni soggettive e obiettive dell’IVC è rappresentata dall’ipertensione venosa localizzata o diffusa con ripercussioni emoreologiche sulla macro e micro-circolazione l’edema ne costituisce la manifestazione caratteristica, sia sul piano fisiopatologico che clinico.

1.2 EPIDEMIOLOGIA

L’IVC appare una condizione clinica assai rilevante sia dal punto di vista epidemiologico sia per le importanti ripercussioni socio-economiche che ne derivano. Nei paesi occidentali sono ben note le conseguenze della sua elevata prevalenza, i costi dell’iter diagnostico e del programma terapeutico, le significative perdite di ore lavorative e le ripercussioni sulla qualità di vita.(2)
I dati epidemiologici fino ad oggi pubblicati riguardano soprattutto la prevalenza di vene varicose ed ulcere. I valori di prevalenza e di incidenza annuale prodotti da studi diversi sono frequentemente discordanti, a causa del differente disegno degli studi (comunità, popolazione, pazienti ricoverati), dalla stratificazione dell’età e del sesso del campione esaminato e dai criteri diagnostici utilizzati per definire le varici e l’IVC. ( 3,4,5,6,7,8,9)
La prevalenza di vene varicose nella popolazione adulta dei paesi occidentali è dal 25-33% nelle donne e del 10-20% negli uomini , ed aumenta con l’età.
Vene varicose e IVC prediligono il sesso femminile con un rapporto tradizionale stimato di 3:1 ed un’incidenza per anno del 2,6% nelle donne e del 1,9% nei maschi adulti entro la 5° decade.
Con l’aumentare dell’età si ha una tendenza all’inversione del rapporto .
Edema, pigmentazione cutanea, ed eczema hanno una prevalenza del 3-11%, mentre l’incidenza di ulcere attive è dello 0,3%, con una prevalenza combinata di ulcere attive e cicatrizzate del 1%.

1.3 FATTORI DI RISCHIO

Il fattore di rischio più rilevante dell’IVC è la familiarità . Il 70/80% dei pazienti affetti da vene varicose hanno una storia familiare di flebopatia, anche se manca un meccanismo genetico specifico. E’ stato segnalato che il rischio di sviluppare varici all’interno di un nucleo familiare aumenta parallelamente al numero di parenti affetti , se si è maschi e se la patologia si presenta precocemente. (10)
Negli anni 70/80 si era soliti distinguere le varici in .
-congenite o displasiche ( presenti dalla nascita);
-primitive o varici essenziali;
come se fattori ambientali e abitudini di vita modificate ( fumo, dieta povera di fibre, uso di contraccettivi) intervenissero nel determinismo di questi cambiamenti epidemiologici.
La gravidanza rimane comunque un fattore rilevante nell’epidemiologia dell’IVC .
Le interazioni gravidanza-sistema venoso, coinvolgono una serie di modificazioni fisiopatologiche temporanee del sistema venoso riguardanti il contenente (vene), il contenuto (sangue), e la velocità del flusso, che creano dei disturbi flebologici anche in assenza di varici.

1.4 PATOGENESI
Vene varicose
Sono una patologia primitiva legate ad alterazioni strutturali della parete e delle valvole venose.
Le principali alterazioni riguardano la struttura del connettivo (11,12,13,14), della matrice cellulare (15,16), e la disfunzione delle cellule muscolari lisce. (17)
La presenza di alterazioni cellulari e molecolari ha indotto alcuni Autori a ritenere le varici una malattia congenita ; tuttavia considerando che la semplice alterazione molecolare senza la presenza di fattori facilitanti non conduce a comparsa di varici, esse rimangono una patologia primitiva ed il termine congenito va utilizzato soltanto per indicare la patologia venosa presente dalla nascita.
Le varici evolvono verso la IVC nei casi non trattati chirurgicamente o nei casi di recidiva, ed il momento cruciale è rappresentato dal coinvolgimento delle vene perforanti, le cui strutture valvolari possono cedere per meiopragia strutturale o per sovraccarico e usura emodinamica .
Sindrome post-trombotica
Dopo la fase acuta della trombosi venosa, il trombo va incontro ad un processo di ricanalizzazione, che non sempre rappresenta un evento favorevole nell’evoluzione del quadro clinico.
Esistono una ricanalizzazione falsa, legata alla retrazione fibrinica ed all’adesione del trombo alla parete, ed una ricanalizzazione vera, dovuta alla proteolisi locale, con formazione di un nuovo canale all’interno del trombo. (18)
Il processo proteolitico coinvolge anche gli apparati valvolari eventualmente coinvolti nella trombosi, creando un’incontinenza con reflusso. Se il trombo originario interessava anche una vena perforante il processo proteolitico coinvolgerà anche questa sede ed il processo di ricanalizzazione con reflusso sarà più rapido.(19)


1.5 FISIOPATOLOGIA DELL’IVC

Le vene varicose con il reflusso safenico e la SPT con il reflusso nelle vene profonde realizzano un sovraccarico di volume nel sistema venoso degli arti inferiori, un caput mortum che, spinto verso il cuore ad ogni sistole muscolare di coscia e polpaccio, ritorna indietro durante la diastole.
Il sovraccarico di volume è per lungo tempo compensato dal sistema venoso integro ( il profondo nelle varici, il superficiale nella SPT).
L’efficienza emodinamica di questo compenso è basata sul sistema delle vene perforanti nelle quali il flusso è fisiologicamente diretto dal sistema superficiale verso il profondo, mentre quando le valvole divengono incontinenti si realizza un movimento di va e vieni.
In questa fase il flusso durante la diastole muscolare può continuare a dirigersi prevalentemente verso il sistema profondo (perforante continente compensata) o andare verso il sistema superficiale realizzando un va e vieni apparente senza alcun reale drenaggio (perforante incontinente scompensata)(20). In questo momento inizia lo scompenso della IVC, con comparsa di ipertensione venosa passiva e riduzione dello svuotamento venoso durante la deambulazione, che in condizioni normali e pressochè totale.


Fase emodinamica microcircolatoria
Seguendo la legge generale dell’emodinamìca , l’ipertensione venosa passiva ed il ridotto svuotamento venoso durante la deambulazione si ripercuotono sul distretto vascolare immediatamente a monte, rappresentato in questo caso dal sistema microcircolatorio, venule e capillari. Il mancato svuotamento deambulatorio coinvolge anche questi distretti , con una marcata stasi microcircolatoria che da un’iniziale stato di sofferenza funzionale espressa dalle alterazioni reticolari visibili alla capillaroscopia, passa alle tipiche alterazioni organiche con comparsa delle formazioni gomitolari (halo formation), aumento della permeabilità ed edema connettivale. (21,22)
Fase tessutale
La comparsa della stasi microcircolatoria e delle alterazioni capillari segnano l’inizio della fase tessutale dell’IVC , nella quale particolare importanza ha la microcircolazione della cute, vero organo bersaglio dell’IVC . Questa fase, al contrario della fase emodinamica , non è caratterizzata da una cascata di eventi fisiopatologici l’uno conseguente all’altro, bensì dal contemporaneo coinvolgimento di quel network cellulare e molecolare che gli esperti di microcircolazione indicano come microvascular flow system (MFRS) e microvascolar defence system (MDS) .
Si tratta del sistema endoteliale, piastrinico e leucocitario e delle molecole paracrine da essi prodotte; attivatori e inibitori fisiologicamente in continua produzione e rimozione , in equilibrio dinamico che caratterizza la funzione microcircolatoria in base alle richieste generali e distrettuali. (23)
La stasi e l’ipertensione venosa inducono repentinamente sull’endotelio un aumento della permeabilità ed un’alterazione della sua funzione. (24,25)
L’aumento della permeabilità si traduce in un aumento della filtrazione nell’unita micro-vasculo-tessutale, con aumento del liquido e della pressione interstiziali. Inizialmente questo aumento è compensato dal drenaggio microlinfatico che tuttavia è destinato ad esaurirsi sia per il raggiungimento della soglia massima di drenaggio, sia per la frequenza di microlinfangiti reattive al considerevole flusso linfatico. Il mancato compenso comporta un’ulteriore aumento della stasi che favorisce l’evoluzione fibrotica dell’edema, il rischio d’infezioni, la comparsa delle alterazioni trofiche cutanee, con possibilità anche di degenerazione maligna. (26)
Con l’aumento della permeabilità nell’interstizio non solo liquidi e cristalloidi, ma anche macromolecole come fibrinogeno e globuli rossi ( diapedesi). Il fibrinogeno, fuori dal vaso, polimerizza rapidamente in fibrina, che si deposita a manicotto intorno ai capillari impedendo l’ossigenazione tessutale (27). L’ipoperfusione tessutale da manicotto di fibrina stata ritenuta la principale responsabile della patogenesi dell’ulcera (28,29,30). Studi successivi non hanno confermato ne smentito del tutto la teoria, i manicotti di fibrina pericapillare sono una reazione tessutale frequentemente presente, che spesso persiste anche dopo la guarigione. (31)
La sofferenza endoteliale, d’altro canto, si esprime con una drastica riduzione dell’ATP intracellulare, con attivazione , attivazione della fosfolipasi A2 e della cascata dell’acidp arachidonico, con l’aumentata produzione di mediatori infiammatori (32,33,34) e di fattori di crescita attivi sulle cellule muscolari lisce (35,36,37), con attivazione e adesione dei leucociti ( ICAM e VCAM), che aggregano soprattutto nel distretto venulare e, infine, con aumento della lipoperossidazione , produzione di radicali liberi . (38,39,40)
Tutta questa serie di reazioni si traduce in trombosi microvasale, attivazione dei processi di morte cellulare e necrosi (41,42) . La diapedesi eritrocitaria e la successiva lisi causano accumulo di emoglobina ed emosiderina che rappresenta un’ulteriore stimolo chemiotattico per i macrofagi. L’effetto scavenger rimane tuttavia insufficiente a causa dell’adesione leucocitaria e l’emosiderina rimane per la gran parte nei tessuti. (43,44)


1.6 LE ULCERE VENOSE

Le ulcere venose sono legate all’ insufficienza venosa cronica, che a sua volta insorge in tutte quelle patologie che portano ad un difetto del ritorno venoso e all’ipertensione venosa. (45,46)
L’ulcera da stasi venosa è una lesione cutanea cronica che non tende alla guarigione spontanea, che non riepitelizza prima di 6 settimane e che recidiva con elevata frequenza. Alcune definizioni escludono le ulcere del piede,altre comprendono tutte quelle a carico dell’arto inferiore.
Le ulcere venose dell’arto inferiore rappresentano il 75% di tutte le lesioni trofiche a carico di questo distretto .
Si ritiene che l’insufficienza venosa cronica , benché sia stata meno studiata ed abbia ricevuto meno attenzioni dell’insufficienza arteriosa cronica , colpisca la popolazione adulta in misura 10 volte superiore .
Nonostante ciò la cura dell’ulcera venosa è spesso trascurata o del tutto inadeguata. Molti pazienti vanno avanti e camminano per mesi o addirittura per anni con l’ulcera ricoperta da medicazioni locali , senza che venga minimamente corretta l’insufficienza venosa che ne è alla base.
Le ulcere venose in fase attiva si ritrovano in circa lo 0,35 della popolazione adulta occidentale e la prevalenza globale di ulcere attive e guarite si attesta sull’ 1% con sconfinamento oltre il 3% negli ultra settantenni. La guarigione delle ulcere venose può essere ritardata od ostacolata dall’appartenenza dei pazienti a classi sociali medio-basse.
La prognosi delle ulcere venose è poco favorevole tendendo esse a guarire in tempi lunghi e a recidivare con grande facilita . Il 50/75% ripara in 4/6 mesi mentre il 20% resta aperto a 24 mesi e l’85 a 5 anni . (47)



1.7 CLINICA

Nella valutazione dell’insufficienza venosa cronica come fattore di rischio per lo sviluppo di ulcerazioni, uno dei primi segni clinici è sicuramente rappresentato dalle vene varicose, ma si possono anche osservare edema, dermatite da stasi, porpora e lipodermatosclerosi, ovvero una condizione di indurimento cicatriziale cutaneo a livello degli arti inferiori, esito di un processo infiammatorio cronico da insufficienza venosa (48) . Una delle conseguenze dell’insufficienza venosa cronica è l’atrofia bianca, in cui si ha una fase iniziale infiammatoria con eritema dovuta alla capillarite, e una fase tardiva atrofica, caratterizzata da alcune aree biancastre delle dimensioni di una moneta osservabili a livello distale della gamba o a livello malleolare (49). L’ulcera venosa può essere singola o multipla, e se non trattata tende a coinvolgere tutta la circonferenza dell’arto.
Le ulcere venose in genere hanno dei margini irregolari, piatti o lievemente rilevati. Il letto dell’ulcera, se pulito, non è necrotico ma rosa o rosso e tende, se non si ha infezione o deposito di fibrina, a formare tessuto di granulazione in modo spesso esuberante. Le ulcere venose tendono ad insorgere al di sopra del malleolo mediale, dove la safena ha un percorso più superficiale e dove effettua una grande curva.
Traumi o infezioni favoriscono lo sviluppo di ulcere in zone più prossimali.
Un rapido allargamento di un’ulcera corrisponde in genere ad una sovrapposizione infettiva della stessa. I pazienti con ulcere venose possono lamentare intenso dolore anche in assenza d’infezione . Il dolore è aggravato dalla stazione eretta fino a scomparire con l’elevazione dell’arto.

TERAPIA COMPRESSIVA E MEDICAZIONE TOPICA

APPROCCIO TERAPEUTICO (50)

La terapia delle ulcere venose si fonda sulla conoscenza dei meccanismi fisiopatologici che entrano in gioco nel determinismo dell’ulcera.
Tali meccanismi non sono più basati esclusivamente sulle nozioni di emodinamica macrovascolare, ma coinvolgono l’unità microcircolatoria e il laboratorio endoteliale.
Poiché l’ulcera venosa rappresenta una condizione cronica caratterizzata dalla lenta riparazione e dalla tendenza a recidivare , obiettivo della terapia è non soltanto la guarigione , ma anche e soprattutto la prevenzione della recidiva. Allo stesso tempo è di fondamentale importanza migliorare lo stato psicologico del paziente, sia per l’accettazione e la collaborazione nel programma terapeutico, sia per la stessa qualità di vita.
La terapia di un ulcera venosa può coinvolgere uno o più dei seguenti trattamenti:
1. Trattamento di base ;
2. Terapia farmacologia;
3. Compressione;
4. Medicazione topica;
5. Chirurgia
6. Scleroterapia;
7. Altre terapie;
8. Misure generali.
Nel lavoro che segue concentreremo la nostra attenzione sulla corretta gestione del letto della lesione vascolare (WBP), nonchè del corretto utilizzo della terapia compressiva, connubio indispensabile per la guarigione di un ulcera venosa.



2.1 TERAPIA COMPRESSIVA(51)

Per terapia compressiva s’intende “ la pressione esercitata su di un arto da materiali di varia elasticità al fine di prevenire e curare la malattia del sistema venolinfatico”( linee guida diagnostico terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici del collegio italiano di flebologia, revisione 2003-2004).
Il termine compressione indica una azione attiva esercitata a riposo su un arto per le caratteristiche più o meno elastiche del sistema utilizzato con sviluppo di alte pressioni di riposo; la gamba è compressa anche a riposo.

2.2 MECCANISMO D’AZIONE

I meccanismi d’azione e le conseguenze cliniche della terapia compressiva in flebolinfologia sono stati descritti in un grande numero di lavori scientifici che possono essere riassunti in :
· Azione sul sistema venoso superficiale e profondo;
· Azione sul volume ematico ;
· Azione sui tessuti;
· Azione sul compartimento microvasculotissutale;
· Azione sul trombo venoso;
La compressione esercitata sugli arti inferiori provoca la riduzione del calibro venoso, il conseguente migliore collabimento dei lembi vascolari sani e la riduzione dei reflussi patologici ( perforanti incontinenti) sino al 30-40%.
La compressione sia per bende che per calze elastiche terapeutiche , diminuisce in modo molto evidente la superficie di sezione delle vene gemellari , di contro la riduzione del calibro della vena poplitea è variabile cosi come quello della vena femorale comune , mentre il volume delle varici superficiali appare sempre ridotto.
Il bendaggio riduce il volume ematico dell’arto inferiore di circa il 45% in posizione clinostatica e del 62% in ortostatismo, con un aumento significativo del riempimento ventricolare destro. Il pool sanguigno locale misurato da Partsch H. et al con globuli rossi marcati diminuisce del 30% dopo l’applicazione di un bendaggio compressivo di circa 40mmHg su tutto l’arto inferiore.
Durante la deambulazione questi effetti, sommati al potenziamento della spremitura delle pompe venose ( piede e polpaccio) provocano un aumento della velocità del flusso venoso e linfatico con riduzione del reflusso e quindi della stasi .
Alcuni studi dimostrano inoltre che per ottenere la maggior efficacia della terapia compressiva essa deve essere associata alla mobilizzazione e ad un appoggio plantare normale.
Studi radioisotopici hanno dimostrato che la pressione esterna esercitata dal bendaggio aumenta la pressione tissutale favorendo , per la Legge di Starling, il riassorbimento di liquidi verso il versante venoso e quindi determinando la riduzione dell’edema, insieme ai meccanismi gia citati.
Curri SB et al (1989) hanno indicato che la terapia compressiva con tutore elastico determina una diminuzione dell’ectasia venulo-capillare , dell’edema interstiziale e un ispessimento reattivo della membrana basale arteriolare in pazienti affetti da insufficienza venosa al secondo stadio di Widmer.
Allegra C et. al (1995) hanno dimostrato con uno studio microlinfografico la diminuzione della pressione endolinfatica e tissutale dopo quattro settimane di trattamento con un bendaggio a permanenza .
La compressione favorisce il distacco dei leucociti dall’endotelio e ne impedisce la ulteriore adesione. Si riduce anche la filtrazione capillare e il riassorbimento viene favorito grazie alla maggiore pressione tissutale.
I risultati di tutti gli studi effettuati mostrano unanimemente che la compressione determina una diminuzione della capacità venosa , che va a diminuire automaticamente il debito venoso e ad accelerare il ritorno venoso con aumento della velocità di flusso, che deve essere considerato come la causa principale degli effetti della terapia compressiva nella profilassi del TEV.
Il bendaggio compressivo aumenta l’aderenza dell’eventuale trombo alla parete venosa, a condizione che esso non oltrepassi il limite superiore del bendaggio; studi recenti mostrano che nei pazienti affetti da TVP ( purchè siano in grado di deambulare) si rileva una minore incidenza di episodi embolici se trattati con bendaggio , terapia eparinica e mobilizzazione rispetto alla sola terapia eparinica.
Al momento non ci sono dimostrazioni certe che la terapia compressiva abbia azione efficace sui diversi fattori della coagulazione: alcuni studi sembrano suggerire un potenziamento della fibrinolisi di parete venosa con l’uso di compressione pneumatica . si può sospettare che la terapia agisca anche riducendo la viscosità ematica , ma l’efficacia di essa nella profilassi delle TVP sembra comunque da ricondurre all’aumento della velocità di flusso venoso , dimostrato da molti autori.
Inoltre il potenziamento dello svuotamento venoso attraverso l’azione di contenzione sulle masse muscolari durante la deambulazione o l’esercizio, quando queste ultime nella fase di contrazione aumentano il loro volume , è da considerare a oggi uno dei meccanismi più efficaci , tanto che il binomio compressione-mobilizzazione è ritenuto indispensabile per ottenere effetti significativi dal punto di vista clinico.




2.3 GUIDA TERAPEUTICA (52)

L’esame clinico è di fondamentale importanza nella scelta di una terapia efficace di cura dell’ulcera delle gambe. Oltre il 90% delle ulcere alle gambe si verifica infatti in conseguenza di una insufficienza venosa cronica, complicazioni diabetiche e insufficienza arteriosa. È stato rilevato che i pazienti con ulcere soffrono spesso di altre patologie che occorre valutare nella scelta della terapia.
Una cartella clinica dettagliata del paziente aiuta a preparare la diagnosi differenziale.
La visita del paziente è necessaria per stabilire la grandezza e le caratteristiche della lesione e identificare eventuali patologie connesse.
Il processo di esame dei pazienti affetti da ulcera nell’arto inferiore viene descritto in varie pubblicazioni e viene largamente riportato in linee guida europee e britanniche. Tale processo dovrebbe anche includere una valutazione delle condizioni sociali del paziente in quanto possono influenzare la cura e la guarigione.
La mancata diagnosi di patologie arteriose espone il paziente a rischi connessi alla terapia a elevata compressione. La perfusione arteriosa va controllata con il doppler portatile misurando l’indice pressorio caviglia-braccio (ABPI è il rapporto tra la pressione sistolica dell’arteria tibiale post. o della pedidea e la passione omerale rilevata a livello dell’arteria cubitale). Lo studio e l’esperienza migliorano l’accuratezza dell’esame.
Anche il polso del piede andrebbe palpato, anche se tale esame da solo non costituisce un metodo di valutazione adeguato. Di solito un ABPI <>0,8 non sempre indica che la compressione elevata può essere applicata senza inconvenienti in quanto occorre prendere in considerazione altri fattori:
· Condizione della cute ( una cute delicata e fragile può essere danneggiata da una compressione elevata);
· Forma dell’arto ( la pressione esercitata dal bendaggio e il gradiente di pressione variano a seconda della forma dell’arto nel modo descritto dalla legge di Laplace ; la pressione può causare danni in presenza di prominenze ossee;
· Neuropatie ( l’assenza di risposta “protettiva” aumenta il rischio di danni provocati dalla pressione esercitata dal bendaggio;
· Insufficienza cardiaca ( rapide variazioni di fluido possono essere rischiose in quanto aumentano il precarico cardiaco.
Qualche volta l’ABPI non è affidabile, specialmente nei pazienti diabetici ove la calcificazione vascolare può impedire la compressione arteriosa e causare falsi aumenti di pressione sistolica arteriosa. I questi pazienti si sono mostrate più attendibili analisi delle forme d’onda Doppler e della pressione all’alluce. Possono anche essere utili la Po2 transcutanea e la misura laser doppler della pressione di perfusione cutanea . La perfusione arteriosa va misurata regolarmente in tutti i pazienti sottoposti a terapia compressiva , in particolare nei pazienti anziani in cui le patologie arteriose sono più comuni e possono svilupparsi più rapidamente .
La guida terapeutica sottolinea l’importanza di verificare la presenza di patologie venose. Oltre all’insufficienza venosa cronica, ci sono altre patologie che possono causare edema dell’arto e ulcere croniche , per esempio l’insufficienza cardiaca congestizia, l’insufficienza renale e l’obesità..
La presenza di patologie venose può essere verificata con ultrasuoni Duplex o pletismografia.


2.4 DIAGNOSI

Dopo l’esame clinico, le ulcere delle gambe possono essere classificate nei modi sotto indicati:
· Ulcere venose senza complicazioni : ulcere in presenza di malattie dell’arto con ABPI>0,8 e assenza di altre patologie importanti che impedirebbero l’impiego di terapia compressiva;
· Ulcere venose con complicazioni: ulcere in presenza di malattie venose con ABPI<0,8 o in presenza di altre patologie rilevanti che impedirebbero o complicherebbero l’impiego di compressione ad alta intensità,
Rientrano in questa categoria le patologie sotto indicate:
- Ulcere arteriose e venose miste ( insufficienza arteriosa moderata con ABPI di 0,5-0,8). In pazienti normotensivi con ABPI pari a 0,5 corrisponde a una pressione sistolica alla caviglia di 65/75 mmHg. A tale valore di pressione la compressione ad alta intensità è potenzialmente pericolosa.
- Ulcere arteriose miste ( insufficienza arteriosa grave con ABPI< 0,5);
- Ulcere arteriose;
- Altre cause di ulcere;

2.5 I METODI DI COMPRESSIONE

BENDAGGIO
Le più importanti proprietà delle bende e dei tutori elastici sono rappresentate dall’elasticità e dalla estensibilità o allungamento. La elasticità definisce la capacità del materiale di tornare alla lunghezza originale quando viene a cessare la forza traente. La forza richiesta per ottenere un allungamento specifico indica la potenza : tale parametro è determinante nella definizione della pressione esercitata dal bendaggio ad una estensione fissata.
Le bende inestensibili o ad allungamento corto (<70%),>140%) rispetto alle dimensioni iniziali , invece si caratterizzano per esercitare pressioni a “riposo” con uno scarto tra queste e quelle di “lavoro”inversamente proporzionale alla loro elasticità. Esse dunque mantengono una pressione continua, relativamente dall’attività muscolare, sul sistema venoso superficiale ,cosi come le calze, che sono costruite con fibre elastiche ad allungamento lungo. A seconda della estensibilità si hanno quindi differenti azioni durante la statica e il movimento, fermo restando che la terapia compressiva deve essere associata alla mobilizzazione del paziente per poter ottenere la massima efficacia:
- i bendaggi inestensibili e ad allungamento corto (<70%), come lo stivaletto all’ossido di zinco di Unna o le bende adesive e medicate, determinano alte pressioni di lavoro e basse a riposo, tali da poter essere mantenuti costantemente durante le 24h, essi rinforzano l’azione della pompa muscolare del polpaccio e hanno un’azione maggiore sul sistema venoso profondo, sono tollerati a riposo;
- i bendaggi estensibili oltre il 70% e le calze elastiche provocano invece minori pressioni di lavoro, e di solito devono essere rimossi a letto perché non tollerati.
La pressione esercitata da un bendaggio dipende essenzialmente dalla tensione T a cui viene applicato, dal numero di strati n e dal raggio dell’arto R. La relazione tra tali grandezze viene espressa dalla legge di Laplace P=Tn/R , che modificata diventa P= Tns/Ra , dove s è lo spessore del materiale usato e a l’ampiezza della benda . La tensione è determinata dalla forza applicata sulla benda nella sua estensione , ma la capacità del bendaggio di mantenere una tensione specifica e quindi la pressione esercitata deriva dalle sue proprietà elastomeriche ( isteresi-curve di allungamento e retrazione) a loro volta dipendenti dai tipi di filato e dai metodi costruttivi del tessuto usato. La capacità di un bendaggio di allungarsi , se sottoposto ad una forza tirante , viene detta estensibilità, che descrive la capacità di allungamento del materiale elastico, che in ogni caso a seconda delle sue proprietà di isteresi presenta un comportamento alla trazione diverso: la pressione applicata cresce proporzionalmente alla tensione fino ad un massimo oltre il quale si ha il fenomeno dell’overstraching, cioè la pressione si stabilizza.
Quando la benda è applicata , numerosi fattori ne determinano l’efficacia compressiva nel tempo : l’usura del materiale, la deambulazione con ripetuti e continui allungamenti e retrazioni , l’eventuale riduzione dell’edema , le caratteristiche fisiche del materiale usato . Si ritiene che la pressione diminuisca di circa il 40% gia dopo alcune ore dall’applicazione e tali effetti sono tanto maggiori quanto più la benda è a corta estensibilità , mentre i materiali molto elastici riducono al minimo tali effetti. Anche la posizione del paziente contribuisce alla variazione della pressione : essa aumenta in ortostatismo rispetto al clinostatismo.
L’applicazione del bendaggio dovrà essere effettuata mantenendo costante la tensione della benda e sovrapponendo con regolarità le spire l’una sull’altra in modo da dare uniformità alla pressione , poiché ad ogni sovrapposizione la pressione, per la legge di Laplace, aumenta in modo proporzionale.

2.6 LE CARATTERISTICHE DELLE BENDE
In commercio esistono numerose tipologie di bende , anche se nella pratica clinica flebologica la scelta si riduce essenzialmente a:
BENDE NON MEDICATE O SECCHE
-poco elastiche (anelastiche o inestensibili);
-elastiche (corta, media e lunga elasticità);
-adesive;
-coesive;

BENDE MEDICATE O UMIDE
-stivaletto di Unna e sue varianti ( benda elastica o non elastica )

· BENDE POCO ESTENSIBILI O A CORTO ALLUNGAMENTO
( ESTENSIBILITA’
Sono bende di contenzione pura in cui l’azione viene svolta soprattutto durante la sistole deambulatoria e non durante la diastole muscolare, sono bende che determinano una pressione di lavoro superiore a quella di riposo , sono ben tollerate a riposo. Esercitano una pressione efficace sui distretti profondi e sono in grado di ridurre rapidamente condizioni edemigene di svariata origine.
Sebbene questa tipologia di bende venga inclusa tra le bende a corta elasticità (elast.70%) è evidente che a rigore di termini è rigida o inestensibile una benda con un modulo elastico molto basso ( prossimo a zero) per cui a nostro avviso è bene distinguere nella applicazione clinica le bende poco elastiche o cosiddette rigide(<=30%) da quelle a corta elasticità (>30<70%). Un esempio di benda rigida o in estensibile è la benda all’ossido di zinco, ideata dal dermatologo P.G Unna nel 1885, di cui oggi esistono varianti anche elastiche.
Altri tipi di bende inestensibili sono generalmente di cotone , con una percentuale variabile tra il 20-40% di poliammide ad esempio le bende Ideal (Lohmann) ancora oggi usate nelle sale operatorie.
Alcuni Autori ritengono che la percentuale ottimale di elasticità delle bende a corta elasticità è del 30-40%, ossia quella ottimale per ottenere da un lato una elevata pressione di lavoro tale da agire anche sui distretti profondi, e dall’altro di non incorrere contemporaneamente negli inconvenienti del bendaggio completamente rigido , quali la notevole difficoltà di applicazione e la tenuta a dimora nel tempo.
La problematica fondamentale del bendaggio praticato con tale tipo di benda è la sua realizzazione e quindi la stabilità , soprattutto durante la marcia ( la pressione esercitata decade di circa il 40% dopo 6h); è infatti un bendaggio di difficile pratica , perchè facilmente si realizzano delle zone di maggiore o minore compressione con perdita dell’uniformità e degressività della pressione , o il bendaggio scivola verso il basso o si disloca creando aree edematose in alcune zone critiche come il dorso dl piede. È sicuramente più facile bendare un arto con una benda a media o lunga elasticità ( che sarà a riposo mal tollerata ) che con una benda rigida ( la più tollerata dal paziente).
Oggi l’impiego fondamentale del bendaggio inestensibile è la patologia ulcerativa , la lipodermatosclerosi , le dermatiti eresipelatose con o senza linfangite, le patologie edemigene gravi e la fase acuta della TVP dell’arto inferiore prima della calza elastica.

· BENDE ELASTICHE A MEDIO E LUNGO ALLUNGAMENTO

Esse vengono classicamente distinte in mono o biestensibili a seconda del verso elastico –estensibile (lunghezza o lunghezza +larghezza ) e in:
- bende a medio allungamento ( tra il 70 e il 140% della lunghezza iniziale)
- bende a lungo allungamento (>140% della lunghezza iniziale)

Vengono realizzate con filati elastici, naturali o sintetici , di vario tipo come il caucciù o le gomme naturali, il poliammide (Nylon) e l’elastane ( la Lycra) in associazione a materiali come il cotone.
Come già precedentemente accennato le bende elastiche vengono distinte in corto elastiche, medio e lungo elastiche. Questa modalità classificativa delle bende elastiche è sicuramente quella più divulgata al mondo ad opera della scuola Francese.
Tuttavia a tale proposito bisogna fare delle riflessioni e delle puntualizzazioni.
1. la tensione con cui viene effettuato un bendaggio elastico indica la forza dissipata nel tendere la benda quando la si avvolge intorno ad un arto;
2. la pressione esercitata dal bendaggio elastico sui tessuti dipende dalle caratteristiche costruttive delle bende ( modulo di Young, isteresi), dalla tensione a cui è sottoposta la benda, dal numero di strati applicati e dalla curvatura dell’arto (diversa nelle varie zone della gamba);
3. la capacità del bendaggio di mantenere una determinata tensione nel tempo e secondariamente la pressione sui tessuti dipende dalle sue proprietà elastiche ( tipo di elastomero con cui è fabbricata la benda);
4. la capacità di una benda elastica di allungarsi sotto trazione è definita estensibilità, mentre la capacità i una benda di tornare alla lunghezza originaria con la cessazione dell’allungamento è definita elasticità;
5. il bloccaggio rappresenta il punto di massima estensione della benda;
6. il punto di bloccaggio dovrebbe essere al 70% della estensione per le bende a corta elasticità, mentre di contro per le bende a lunga elasticità tale punto di bloccaggio dovrebbe superare il 140% della lunghezza originaria della benda. Tale bloccaggio può avvenire per bende appartenenti alla stessa categoria , ad esempio a corta elasticità ma contenenti elastomeri diversi, con l’impiego di forze (curve di isteresi diverse). In altre parole se non si esprime la forza impiegata per determinare quella particolare estensione , cioè la potenza =lavoro nel tempo , la definizione di corte, medie o lunga elasticità perdono significatività perché espressione delle sole caratteristiche fisiche del materiale usato. Il concetto di potenza è alla base di quello di tensione , poiché questo ultimo è un parametro che è direttamente correlato alla forza impiegata per determinare quel particolare allungamento;
7. la pressione esercitata dipende, inoltre, a parità di materiale usato e di potenza nell’applicazione , dalla tecnica di bendaggio e dalla sovrapposizione delle spire . un bendaggio a otto , ad esempio , è più compressivo di un bendaggio a spire regolari ,la pressione dipende anche dalla natura della benda a parità di allungamento : bende con diverse strutture di tessuto esercitano pressioni diverse , bende più pesanti con la stessa capacità di allungamento massimo comprimono maggiormente di altre nelle stesse condizioni di applicazione .
L’industria sta vagliando nuovi elastomeri ( vari-streach) in grado di determinare pressioni costanti a prescindere da variazioni entro certi range di estensione della benda , in modo da ridurre la variabilità intra-bendaggio ( stesso operatore) e inter-bendaggio ( operatori diversi).

· BENDE ADESIVE E COESIVE

Si tratta generalmente di bende a corta –media elasticità che sono in grado di aderire, mediante collanti acrilici o colla all’ossido di zinco, alla cute e a se stesse ( bende adesive) o solo a se stesse ( bende coesive). Queste ultime vengono fabbricate attraverso la polverizzazione sulla superficie delle due facce della benda di microbolle di latex , o acriliche, diluite in acqua che evapora poi per riscaldamento a 50° in forni appositi. La sospensione di latex si fissa e ricopre tutta la superficie della benda ed è in grado di aderire solo su se stessa. I collanti acrilici o all’ossido di zinco sono fortemente ipoallergenici e consentono di utilizzare tali bende , con relativa tranquillità, a diretto contatto con la cute. A tal proposito bisogna fare le seguenti precisazioni:
1. le bende adesive possono essere fabbricate con la presenza di elastomeri (caucciù ecc) o completamente in cotone con una tessitura definita elastica (elasticità non legata all’elastomero ma alla particolare trame della tessitura);
2. alcune bende alla colla di zinco sono in cotone e Rayon e possiedono bordi soffici e resistenti in modo da ridurre l’effetto laccio nei punti difficili;
3. alcune bende elastiche adesive sono costruite senza elastomeri con una trama particolare in puro cotone che determina una elasticità della benda definita “ a memoria variabile”. Queste bende che richiedono spesso tricotomia quando messe a contatto con la cute , hanno il collante disposto a strisce con un foglio protettivo che viene staccato al momento dell’uso. Se vengono tese fino al 50% della lunghezza ( tensione submassimale) si comportano come bende elastiche normali potendo riacquistare la lunghezza originaria , se invece si supera il 50% perdono la capacità elastica 8 tensione massimale) e si trasformano in bende rigide. Tali bende sono utilizzate soprattutto in ortopedia , medicina sportiva, fisiatria.
4. Le bende elastiche adesive , come quelle elastiche, possono essere monoestensibili ( allungamento in senso longitudinale) o biestensibili ( allungamento longitudinale e trasversale);
5. Le bende coesive sono un ulteriore esempio di bende a corta – media elasticità e spesso vengono nominate con l’aggettivo forte, media, leggera o soft per indicarne il potere compressivo;
6. Generalmente si preferisce utilizzare un salvapelle ( pellicola in schiuma poliuretanica con elevata porosità ) sotto il bendaggio adesivo anche se questa tecnica può ridurre la stabilità del bendaggio ( scivolamento). L’utilizzo di tubulari elastici sotto al bendaggio determina una maggiore stabilità del bendaggio stesso, con l’aggiunta della pressione esercitata dal tubulare, che è di circa 10mmHgalla caviglia.
Le tipologie di bendaggio con bende adesive o coesive consentono di avere dei bendaggi e permanenza ( bendaggi fissi che il paziente non deve rinnovare ) più stabili nel tempo e con pressioni medio elevate sui tessuti. Questo tipo di bendaggio trova indicazione quando dobbiamo attuare un bendaggio fisso che il paziente non deve rimuovere per un periodo lungo e mantenere sia la notte che il giorno ( ulcere venose , edemi ,postchirurgia o postscleroterapia).

2.7 CALZA ELASTICA TERAPEUTICA O MEDICALE

DEFINIZIONI
Calza elastica terapeutica o medicale ( medical stocking).
La calza elastica terapeutica o medicale (CET) è quella calza, costruita con materiali e metodi secondo le norme definite dalle legislazioni vigenti (RAL-GZ 387 Tedesca, NFG 30-102b IFTH Francese, BS7505 Inglese), che garantisce una pressione definita e degressiva lungo l’arto, entro certi parametri ,stabilita a seconda della classe compressiva, disponibile in vari modelli e misure. La compressione e l’aderenza alle modalità costruttive stabilite devono essere certificate costantemente da Istituti nazionali autonomi. La sola calza elastica terapeutica ha dimostrato nei trial clinici e nella letteratura scientifica mondiale una efficacia certa nella prevenzione e cura delle affezioni flebolinfologiche : è un dispositivo medicale a tutti gli effetti.
Calza elastica di sostegno
La calza elastica che non risponde in tutto o anche in parte alle normative, ma che può garantire una pressione in mmHg alla caviglia e/o negli altri punti dell’arto inferiore , mantenendo una degressività pressoria certa dal basso verso l’alto , è definita calza elastica di sostegno.

Calza elastica
Tutti gli altri tipi di calze costruite con fibre elastiche , che dichiarino pressioni in Den (denari) o non garantiscono pressioni definite e degressive sono da definire semplicemente calze elastiche.
Calza antitromboembolia
La calza antitromboembolia è quella calza elastica ,costruita con modalità in parte diverse per renderla tollerabile a riposo , che garantisce una pressione di 18 mmHg alla caviglia, il profilo presso rio lungo l’arto inferiore deve essere degressivo : in B1 80-100% della pressione alla caviglia (B), in C tra il 60-80% e in F o G tra il 40-70% ( CEN 1998, draftprEN 12719).

2.8 COMPRESSIONE PNEUMATICA

I sistemi di compressione pneumatica (CP) si differenziano per il numero e la sovrapposizione dei settori che costituiscono i gambali e i bracciali e per la determinazione delle sequenze di gonfiamento. Si distinguono apparecchi che esercitano una compressione intermittente , prodotti per primi nel 1950, costituiti da un gambale con una sola camera che si gonfia e alternativamente si sgonfia ; peristaltica (presenza di più camere allineate che vengono mantenute in pressione una alla volta); sequenziale (le camere sono multiple , embricate tra loro , gonfiate sequenzialmente e sgonfiate contemporaneamente ); pneumatica plantare (CPP).
Non esistono in letteratura prove definitive sulla superiorità di questo o quel sistema , ma si è bene considerare che l’azione esercitata deve essere la più fisiologica possibile. Secondo questo criterio la migliore pressoterapia appare essere quella detta sequenziale , in quanto la spinta dei fluidi avviene nella direzione fisiologica distale-prossimale, senza provocare reflussi, poiché le camere vengono gonfiate sequenzialmente una dopo l’altra rimanendo gonfie fino alla decompressione contemporanea di tutte; inoltre i tempi dei cicli sono rapidi ( circa 30 sec) e quindi permettono un numero maggiore di cicli nello stesso periodo di tempo (circa 60 in 30 min con 20 min effettivi di terapia). Si raccomanda comunque sempre di non superare pressioni di 40-50 mmHg e di intervallare le sedute con l’applicazione di bendaggi quando si debbano ridurre edemi importanti, per poi passare al tutore elastico di classe compressiva adeguata nella fase di mantenimento.
Recentemente è stato introdotto il nell’uso clinico per la profilassi del TEV un apparecchio di compressione sequenziale (SCD Responce) che permette cicli di compressione intermittente personalizzata, ottenuta mediante una analisi automatica del riempimento venoso pletismografico. La pressione esercitata dal gambale a tre camere e sei compartimenti è di 45 mmHg alla caviglia , 40 mmHg al polpaccio e 30 a livello della coscia.
Le controindicazioni sono rappresentate essenzialmente dallo scompenso cardiaco, che può essere notevolmente aggravato in tempi brevi dato lo spostamento rapido e importante di massa sanguigna verso il cuore destro, e le compressioni estrinseche sui vasi venosi. Le arteriopatie ostruttive non sembrano non sembrano rappresentare una controindicazione assoluta al trattamento poiché esistono in letteratura lavori che addirittura dimostrano un miglioramento della per fusione terapeutica dopo CP a basse pressioni : lo svuotamento delle vene induce una riduzione della resistenza di flusso ( riduzione del gradiente arteri-venoso), l’aumentato “shear stress” provoca un biologico effetto vasodilatatore e la riduzione dell’edema migliora il flusso capillare.

2.9 TECNICHE DI CONFEZIONAMENTO DEL BENDAGGIO COMPRESSIVO

Il bendaggio elastocompressivo può essere realizzato con vari materiali e con varie tecniche , a seconda della patologia , di esigenze particolari e a seconda della forma dell’arto o della sede dell’arto da bendare. Le caratteristiche fisiche fondamentali che un bendaggio deve avere sono la degressività e la uniformità .
Un bendaggio elastocompressivo può essere realizzato utilizzando:
· Bende anelastiche e ad allungamento corto
· Bende ad allungamento medio e lungo.

Questa è una distinzione fondamentale da un punto di vista clinico , in quanto a seconda dell’una e dell’altro gruppo di bende utilizzate potremmo mantenere in sede il bendaggio per diversi giorni ( con le bende del primo gruppo ) oppure , rendere necessaria la rimozione serale e il nuovo confezionamento all’indomani del bendaggio ( bende del secondo gruppo), poiché non tollerano la notte.
In linea generale si utilizzano le bende del primo gruppo nei pazienti più anziani , nelle insufficienze venose più e complicate da turbe trofiche , nelle forme associate a arteriopatia obliterante periferica ( lieve o moderata) . in ogni caso, si tratta di bende poco maneggevoli e possono essere utilizzate solo da professionisti con una certa esperienza.
Le bende del secondo tipo viceversa si utilizzano per patologie venose meno gravi , per la riduzione di edemi molli e per la compressione del circolo venoso superficiale.
Per quanto riguarda la messa in opera della benda , questa può essere realizzata seguendo varie tecniche, ognuna con delle indicazioni diverse. La benda deve essere srotolata mantenendo la mano vicino la superficie cutanea, in modo da evitare stiramenti verso l’alto o verso il basso o tensioni diverse, che possono determinare aree di pressione non uniformi nella stessa zona.
La posizione del paziente, seduto o sdraiato, non influisce sulla messa in posa della benda , se non per la maggiore o minore comodità di applicazione. Il tallone può essere mantenuto scoperto o non , a seconda se si voglia privilegiare una corretta deambulazione del paziente, oppure sia necessario ridurre un edema che coinvolge anche le fossette retro malleolari. In caso di bendaggio sino alla coscia l’articolazione del ginocchio , eccetto casi particolari , deve essere mantenuta libera.
Le tecniche più comuni , sulle quali poi si possono effettuare numerosi varianti personali sono:

· Bendaggio a spire regolari;
· Bendaggio a otto;
· Bendaggio a otto fissato alla caviglia;
· Bendaggio a rotolamento spontaneo;

Menzione a parte merita il:
· Bendaggio multistrato.

2.10 TECNICHE DI BENDAGGIO

1) BENDAGGIO A SPIRE REGOLARI
Comune a tutte le tecniche è la regola di srotolare la benda dall’interno all’esterno, cioè in direzione mediale-laterale. In pratica per bendare l’arto destro si procederà in senso antiorario, per l’arto sinistro in senso orario.
Si parte dalla radice delle dita del piede e dopo aver posto 2-3 giri sul piede stesso , si sale alla caviglia e si procede prossimamente con l’accortezza di sovrapporre del 50% le spire , cioè si stende la benda coprendo la metà della sottostante.
Quando si arriva al di sotto del ginocchio si completa il giro e si può , qualora siano avanzati dei centimetri di benda , stendere la stessa in direzione distale senza esercitare molta trazione.


2) BENDAGGIO A OTTO
È una variante del precedente : si parte dalla radice delle dita del piede a spire regolari e si procede prossimamente incrociando ad otto i giri di benda dal dorso del piede o dalla caviglia al sotto-ginocchio, la pressione massima si ottiene nei punti di incrocio dei giri di benda; questo tipo di bendaggio è più compressivo del precedente, perché prevede una maggiore sovrapposizione dei giri di benda, e più stabile nel tempo.
Nel confezionare questo bendaggio è opportuno prestare attenzione affinché gli incroci delle bende non corrispondano alla cresta tibiale poiché potrebbero causare lesioni cutanee.

3) BENDAGGIO A OTTO FISSATO ALLA CAVIGLIA
In questo caso si comincia dalla caviglia , si pone un giro di benda e si prosegue distalmente sul piede che andrà ricoperto fino alla radice delle dita .
Si continua di nuovo prossimalmente per tornare alla caviglia; a questo punto si procede con un giro a otto per poi continuare al di sopra con spire regolari.
È particolarmente indicato nel trattamento delle ulcere venose esercitando proprio una forte pressione al di sopra della caviglia , nella regione perimalleolare interna , dove si sovrappongono in questo caso almeno 5-6 giri di benda.

4) BENDAGGIO A SROTOLAMENTO SPONTANEO
Questo bendaggio è indicato soprattutto per le patologie del polpaccio in quanto esercita posteriormente la sua massima compressione , si procede partendo dalla radice delle dita del piede , si stendono alcuni giri e si sale sino al margine inferiore del ventre dei muscoli gemelli, a questo punto si avvolge il polpaccio sino sotto il ginocchio eseguendo poi un giro cosiddetto di fissaggio , cioè un giro completo di benda al di sotto del ginocchio stesso
dopo si procede di nuovo verso il basso a spire regolari, in modo da coprire completamente la gamba sino al di sopra della caviglia.

5) BENDAGGIO MULTISTRATO
È questo un sistema realizzato dalla Smith e Nephew ( Profore), composto da un kit di 4 bende , prodotto per diverse circonferenze di caviglia ( 18-25 cm e oltre 25 cm), che vanno applicate con una precisa sequenza e ognuno secondo una tecnica diversa.
- il primo strato è formato da una benda in sintetica (tipo cotone di Germania ) da stendere a spire regolari con sovrapposizione del 50% coprendo anche il tallone;
- il secondo strato è formato da una benda in crespo di cotone in estensibile che primo strato , da applicare da applicare a spire regolari con sovrapposizione di del 50% coprendo anche il tallone;
- il terzo strato è formato da una benda leggera a lunga estensibilità che va posta con la tecnica del bendaggio a otto allungando la benda del 50% e seguendo una linea gialla centrale come guida;
- il quarto e ultimo strato è formato da una benda coesiva , da applicare con la tecnica a spire regolari con estensione del 50% e sovrapposizione del 50%, che realizzerà una compressione finale alla caviglia di 40-50 mmHg.
Questo bendaggio dalle caratteristiche di ottimo confort, ma soprattutto dalla eccezionale capacità di riduzione di marcati edemi , è particolarmente indicato nelle patologie venose complicate da vaste ulcere , aree ipodermodermitiche resistenti ad altri trattamenti e importanti edemi e linfedemi.
Bendaggi multistrato “artigianali” possono essere confezionati , purchè si adoperino bende di qualità e si tenga conto delle regole generali del bendaggio.
La benda ad allungamento lungo deve essere posta al di sopra di quella rigida, se si vogliono ottenere le pressioni adeguate. La benda coesiva serve per mantenere meglio in sede il bendaggio cosi ottenuto , aumentare la pressione e dare uniformità al sistema compressivo.



6) LA COMPRESSIONE ECCENTRICA
Attraverso la modifica del raggio di curvatura del tratto di gamba su cui è applicata , nel senso di un suo incremento ( compressione eccentrica negativa) , o di una sua riduzione ( compressione eccentrica positiva) ha l’obiettivo di ridurre , nel primo caso, o di aumentare nel secondo la compressione esercitata da una qualsiasi compressione eccentrica ( calza o benda).
L a compressione eccentrica negativa è in genere usata sul dorso del piede, sul tendine di Achille , sulla cresta tibiale , sui tendini . Può essere attuata con strisce di spugna spesse fino a 4mm , o con ovatta a rotoli (collo del piede) , serve a prevenire irritazioni della pelle e dolore delle strutture sottocutanee.
La compressione eccentrica positiva ha per obiettivo l’aumento focale della compressione , può utilizzare diversi materiali.
1. le garze sono usate per il loro potere traspirante e antiessudante sulle aree di epidermide e di eczema. Inoltre la garza per la sua bassa deformabilità si utilizza di scelta nel confezionare tamponi circolari e compatti di 2-3 cm di diametro , da apporre sulle vene tronculari o reticolari e tenuti in sede con cerotto ipoallergenico per un giorno.
2. altro materiale è l’ovatta sotto forma di tamponi a nucleo:
- morbido , tamponi sferici di 1 cm di diametro;
- semirigido ( tipo odontoiatrico)
- rigido ( l’ovatta ricopre un foglio di alluminio compattato) di diversa forma utilizzati per la compressione selettiva dei punti di fuga
Questi tamponi hanno lo scopo di ridurre il raggio di curvatura della coscia e rendere pertanto , la compressione più intensa , in virtù della legge di Laplace.
3. altro importante presidio di compressione eccentrica è costituito dai cuscinetti di caucciù o schiume in lattice, di diversa forma. Le gia ricordate caratteristiche fisiche del caucciù , rendono tali tasselli capaci di sviluppare un incremento anche della pressione a riposo. Tali presidi trovano ampio utilizzo nel trattamento dell’IVC , in tutti i suoi stadi, compresa l’ulcera venosa , con la precauzione di evitare che il caucciù vada a diretto contatto con la sofferente .

2.11 MEDICAZIONE TOPICA (53)

Nel programmare le cure locali di un paziente con ulcera venosa è importante l’osservazione clinica, perché si deve tener conto della presenza di tessuto non vitale , dell’entità dell’essudato, di una eventuale infezione, dello stato della cute perilesionale. Il trattamento topico dell’ulcera venosa deve assicurare la detersione della lesione , la conservazione del microambiente , la protezione degli agenti infettanti e la stimolazione dei meccanismi cellulari.
È stato recentemente introdotto il concetto di “ wound ded preparation” ovvero la “gestione globale e coordinata della lesione, volta ad accelerare i processi endogeni di guarigione ma anche a promuovere l’efficacia di altre misure terapeutiche”. Esso comprende lo sbrigliamento o debridment (autolitico, enzimatico, meccanico) atto a rimuovere il tessuto necrotico con le componenti essudative e la correzione delle alterazioni del microambiente.
La medicazione ideale dovrebbe possedere le seguenti caratteristiche:
· non aderire , ne lasciare residui sul fondo dell’ulcera;
· mantenere la superficie dell’ulcera umida,
· essere impermeabile ai liquidi , ma permettere gli scambi gassosi;
· creare una barriera contro batteri e miceti;
· stimolare la crescita del tessuto di granulazione;
· alleviare il dolore,
· avere un costo ragionevole.

Attualmente, nonostante la grande varietà delle medicazioni proposte, non esiste ancora una ideale , né è possibile stilare dei protocolli rigorosi che siano validi per la cura di tutte le ulcere venose.
L’esperienza dimostra che ogni prodotto si rivela inizialmente efficace , ma tale beneficio può decrescere nel tempo, mentre un altro prodotto può poi portare a guarigione l’ulcera.
Per questo motivo si dovrebbe enfatizzare nel loro trattamento un atteggiamento dinamico , tenuto conto di varie fasi evolutive nella storia naturale dell’ulcera, che variamente può presentarsi necrotica , fibrinosa, esaudante, infetta detersa, granuleggiante , in fase di riepitelizzazione.
Se un tempo l’unica terapia era il bendaggio compressivo rigido e la medicazione locale con pochi prodotti detergenti e/o disinfettanti , attualmente si hanno a disposizione con indicazioni diverse a seconda delle fasi suddette, medicazioni occlusive, semiocclusive, assorbenti, medicazioni a base di carbossimetilcellulosa , arginati, poliuretano, collagene , colla di fibrina, chitosano, in forma di paste, di granuli, di schiume, di gel.
Recentemente è stata proposta l’applicazione locale di fattori di crescita, somministrati anche per infiltrazione.
Qualora sia presente un’infezione, devono essere allestite colture dell’essudato ed il trattamento iniziare con antibiotici sistemici. Gli antibiotici per uso topico non sono generalmente utilizzati, perché favoriscono l’insorgenza di dermatiti da contatto.
È stato dimostrato in un trial prospettico che i pazienti con ulcera venosa, trattati con l’emulsione argento-sulfadiafina associato a elastocompressione, sono guariti più velocemente rispetto al gruppo trattato con la sola compressione.
Nelle fasi più avanzate del processo di guarigione, quando la secrezione è scarsa e l’ulcera si superficializza, si può ricorrere si può ricorrere alle medicazioni cosiddette biologiche , utilizzando delle sottili pellicole a base di cellulosa o di acido jaluronico, che da una parte esercitano una funzione protettiva , impedendo l’infezione dell’ulcera, dall’altra forniscono un buon supporto per la migrazione e la proliferazione delle cellule basali dell’epidermide, mantenendo un adeguato livello di umidità che evita l’essiccamento della lesione.

CONCLUSIONI
La wound bed preparation è un obiettivo importante da raggiungere sia nel trattamento delle ulcere venose delle gambe che negli altri tipi di ferite . tuttavia gli elementi da prendere in considerazione per realizzarla sono diversi. Nel trattamento delle ulcere venose delle gambe, lo sbrigliamento raramente costituisce un problema . la priorità è l’ottenimento del bilancio dei fluidi , migliorando il ritorno venoso grazie ad un adeguato bendaggio compressivo. La stimolazione delle cellule perilesionali è collegata intrinsecamente al raggiungimento del bilancio dei fluidi, poiché senza di esso non avviene la migrazione epidermica.
Per non aggravare ulteriormente le risorse gia limitate, in genere, non è necessario utilizzare prodotti avanzati per il trattamento delle ulcere venose delle gambe, nel tratamneto di queste ferite è importante invece predire , possibilmente prima della quarta settimana di trattamento standard utilizzato, quali ulcere non guariscono rapidamente , in modo che i pazienti possano trarre il massimo beneficio dalle strategie di cura alternativae.
Inoltre , sono necessari ulteriori studi per poter valutare l’efficacia e il costo in situazioni cliniche particolari, in modo che i pazienti possano trarre il massimo beneficio da queste strategie terapeutiche.
I bendaggi compressivi multistrato ad elevata intensità di pressione hanno dimostrato inequivocabilmente di costituire una terapia sicura e di elevata efficacia nella cura della maggioranza dei pazienti affetti da ulcere venose gli arti inferiori senza complicazioni.
È possibile ottenere tassi di guarigione fino al 70% in 12 settimane e se vengono impiegati programmi di prevenzione di recidive, la qualità della vita dei pazienti viene notevolmente migliorata e viene anche ridotta la relativa spesa del bilancio sanitario pubblico.
La guida terapeutica sviluppata dall’International Leg Ulcer Advisory Boerd evidenzia la necessità di un esame accurato e una diagnosi particolareggiata per la scelt6a della terapia compressiva efficace in grado di ottenere la guarigione delle ulcere delle gambe senza complicazioni. Impiegando la guida terapeutica il personale sanitario può lavorando in collaborazione, sviluppare proprie procedure e fornire un servizio di elevata qualità ai pazienti affetti da ulcere degli arti inferiori.

























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