sabato 15 settembre 2007

OSSIGENOTERAPIA IPERBARICA E MEDICAZIONI AVANZATE NELLA GESTIONE DELLE LESIONI CUTANEE. IL RUOLO DELL'INFERMIERE

INTRODUZIONE

La cute, con una superficie di circa 2 metri quadrati, è l’organo più grande del corpo e svolge molteplici compiti di vitale importanza. Ciò nonostante, la ricerca scientifica sul processo di cicatrizzazione delle lesioni cutanee non è realmente cominciata fino alla seconda metà del XX secolo, quando la convinzione che la “natura, non il medico, porta alla guarigione”, secondo gli antichi dettami di Paracelso, è stata gradualmente sostituita dalla consapevolezza di poter influenzare e guidare il processo di guarigione delle ferite.
Infatti, una migliore conoscenza dei processi fisiopatologici, che sono alla base dell’insorgenza delle ulcere cutanee, ha permesso di mettere a punto numerose strategie terapeutiche in grado di sostenere adeguatamente gli sforzi dell’organismo stesso mirati a ristabilire la continuità del rivestimento cutaneo.
Tra le strategie in questione , l’ossigenoterapia iperberica (O.T.I.), occupa sicuramente un posto di primo piano , diventando, infatti, una metodica terapeutica “quasi insostituibile” da sola o associata ad altre terapie, nella cura delle ulcere cutanee.
Accanto a tutto ciò, un ruolo non secondario è rivestito da una vasta gamma di prodotti creati per rispondere alle esigenze ed
alle caratteristiche delle ulcere cutanee, e mi riferisco alle “medicazioni avanzate”.
Le ulcere cutanee rappresentano un’affezione molto comune ,(si calcola che circa l’1% della popolazione ne sia affetta), estremamente invalidante in quanto spesso caratterizzata da cronicità, guarigione lenta e dolore, ed anche economicamente impegnativa per le famiglie e per la sanità .
Costituiscono una patologia d’interesse multidisciplinare, coinvolgendo il chirurgo vascolare, il chirurgo plastico, il dermatologo, il geriatra, il diabetologo, il reumatologo, il medico di medicina generale ed infine ma non ultimo l’infermiere.
Mi accingo a descrivere nel lavoro che segue, il delicato e fondamentale ruolo che l’infermiere svolge in un centro di ossigenoterapia iperbarica, al fine di garantire il corretto effetto sinergico tra l’ossigenoterapia iperberica e l’utilizzo delle medicazioni avanzate, connubio fondamentale per la guarigione delle lesioni cutanee con scarsa tendenza alla guarigione.



DEFINIZIONE DI ULCERA E CLASSIFICAZIONE EZIOPATOGENETICA

Le ulcere cutanee, per definizione, sono soluzioni di continuo della cute, che possono approfondirsi nel sottocute, piano muscolare fino al piano osseo. Sono caratterizzate dalla scarsa tendenza alla guarigione e si originano in seguito ad alterazioni del trofismo cutaneo, provocate dal danneggiamento dei vasi venosi, arteriosi o di origine neuropatica, oppure dagli effetti di una pressione locale e persistente.
Sebbene le ulcere cutanee si manifestano con quadri clinici molto eterogenei, i meccanismi fisiopatologici che portano alla cronicità si assomigliano molto, tutte le alterazioni vascolari che ne stanno alla base, anche se di diversa eziologia, sfociano alla fine in disturbi della nutrizione del tessuto cutaneo con
progressiva ipossia ed ischemia, il che ha come conseguenza la morte cellulare con formazione di necrosi .
Sebbene la maggior parte delle ulcere sia di origine venosa, altre cause comuni sono le patologie arteriose e neuropatiche; è tuttavia utile ricordare che le cause d’insorgenza di un’ulcera sono spesso multifattoriali. ( 1-2)

· Ulcere Venose
Le ulcere venose sono legate all’insufficienza venosa cronica, che a sua volta insorge in tutte quelle patologie che portano ad un difetto del ritorno venoso e all’ipertensione venosa .
Nella valutazione dell’insufficienza venosa cronica come fattore di rischio per lo sviluppo di ulcerazioni, uno dei
primi segni clinici è sicuramente rappresentato dalle vene varicose, ma si possono anche osservare edema, dermatite da stasi, porpora e lipodermosclerosi . (1-3)
· Ulcere arteriose
Le ulcere arteriose sono legate all’insufficienza arteriosa cronica. Le cause di occlusione o sub-occlusione ad andamento cronico dei vasi arteriosi sono l’arteriosclerosi unitamente all’angiopatia diabetica ed alla tromboangioite obliterante.(4)
Le ulcere arteriose appaiono tipicamente tondeggianti e a margini netti.
Frequentemente si osserva un fondo fibroso giallastro o un’escara necrotica. Anche la presenza di tessuti necrotici ed esposizione dei tendini suggerisce un’eziologia arteriosa o una pressione cronica.


· Ulcere neuropatiche
Le ulcere neuropatiche sono associate a fenomeni di parestesia o anestesia dell’arto inferiore, ed in particolare modo del piede. Le ulcere neuropatiche sono più comuni, anche se non ne sono esclusive, nel diabete mellito.
Sebbene i pazienti affetti da diabete mellito presentino una microangiopatia diabetica, caratterizzata dalla ialinosi della membrana basale endoteliale che comporta l’ispessimento della parete di arteriole, venule e capillari, dalla proliferazione endoteliale e dalla stenosi di questi piccoli vasi, si calcola che il 70% dei piedi diabetici sia dovuto alla neuropatia. (5)
Ciò che si osserva nel piede diabetico è la comparsa di aree callose sovra-ossee nelle zone di pressione con eventuale comparsa al centro di queste, di un’ulcerazione profonda.
· Ulcere da decubito
Le ulcere da decubito sono aree localizzate di danno tissutale che si sviluppano quando i tessuti molli vengono compressi tra una prominenza ossea ed una superficie esterna.
Sono dovute a lesioni ischemiche con conseguente necrosi della cute, del sottocutaneo e, spesso del muscolo che ricopre l’osso sottostante.
Le sedi in cui più frequentemente insorgono ulcere da decubito sono il sacro ( 85%), il grande trocantere , la tuberosità ischiatica, il ginocchio ( condili mediali e laterali), i malleoli, i talloni ; meno frequentemente vengono colpiti gomiti, scapole, coste, rachide, orecchie e nuca.
Le ulcere cutanee, anche se meno frequentemente, rappresentano il segno di patologie sistemiche di diversa natura tra queste vanno ricordate:
· Ulcere post-emboliche;
· Pioderma gangrenoso;
· Necrobiosis lipoidica diabeticorum;
· Vasculite allergica;
· Sindrome di Sneddon;
· Ulcere da criofibrinogenemia;
· Ulcere Neoplastiche;
· Organismi Infettivi;

2. MICROAMBIENTE E GUARIGIONE
Le attuali conoscenze scientifiche circa il processo di guarigione di un’ulcera si basano, senza mai sottovalutare il trattamento delle patologie di base che favoriscono la formazione dell’ulcera, sull’importanza della “preparazione del letto dell’ulcera”.
Questa moderna terminologia, ratifica l’importanza dei principi, gia applicati in passato sui criteri empirici di rimuovere o ridurre l’impatto dei fattori locali che possono creare un ritardo di guarigione, fino a raggiungere i criteri ideali di una lesione ben vascolarizzata, attraverso l’applicazione di principi basilari
della detersione, del controllo dell’umidità, del controllo della
carica batterica, di una riduzione dell’essudato e della creazione di un ambiente umido. (13)
· L’ambiente umido
All’inizio degli anni sessanta gli articoli chiave di Winter hanno dimostrato i benefici di una cicatrizzazione in ambiente umido. (14-15)
Da allora, il concetto di trattamento umido delle ferite è stato approfondito e chiarito, evidenziando come il mantenimento di adeguati livelli di umidità e ossigenazione a livello del letto
dell’ulcera facilitino la migrazione delle cellule epidermiche,
permettano un’aumentata concentrazione dei fattori di crescita,
inducano una stimolazione dei macrofagi e l’inizio della
detersione autolitica, abbiano effetti favorevoli sulla flora microbica, e, infine, stimolino i fibroblasti e la produzione di collagene. (16-17)
Questi effetti si traducono in una velocità di guarigione superiore del 50%, rispetto ad una lesione secca, associata ad una più rapida riepitelizzazione.
· La detersione
La detersione comporta la rimozione del tessuto morto, devitalizzato o contaminato e dei materiali estranei dal letto dell’ulcera .
Attraverso la rimozione del tessuto necrotico e infetto, la detersione riduce inoltre la carica batterica superficiale, esponendo gli spazi morti o loculati che possono rappresentare un ricettacolo di batteri o di essudato purulento.
E’ stato recentemente affermato come la detersione converte un’ulcera cronica o senza tendenza alla guarigione in una lesione acuta.
Questo concetto, anche se apparentemente semplicistico, trova ragione nell’ipotesi che la detersione rimuove le cellule non più rispondenti ai fattori di crescita e non più in grado di
sintetizzare i costituenti della matrice extra cellulare.
La rimozione del materiale disvitale permette, inoltre, la precisa valutazione delle dimensioni e della profondità della lesione e della natura delle strutture interessate dal processo ulcerativo. Può essere d’aiuto pensare al letto dell’ulcera in termini di colori: nero (necrosi), giallo (fibrinoso), rosso (granulazione), spesso variamente associati fra loro.
L’escara nera indica la presenza di tessuto devitalizzato che deve essere sempre rimossa perché possano iniziare i meccanismi di riparazione dai margini della lesione. Un fondo giallo adeso al fondo rappresenta generalmente strutture
profonde come fascia o tessuto sottocutaneo e non necessariamente deve essere rimosso.
Un materiale giallo e molle può invece indicare la presenza di un processo infettivo o di fibrina degradata che deve essere eliminata, per non ostacolare la formazione del tessuto di granulazione (18) . I metodi utilizzati per la rimozione dei fattori che si oppongono alla guarigione delle ulcere croniche sono rappresentati dalla detersione chirurgica, enzimatica , autolitica e meccanica meglio descritti nel paragrafo successivo.
· Controllo dell’essudato
Negli ultimi anni, è stato evidenziato come l’essudato presente
nelle ulcere croniche abbia effetti negativi sulla proliferazione e
attività di alcuni tipi cellulari fra cui i fibroblasti e cheratinociti coinvolti nel processo riparativo (19) . L’essudato è generalmente descritto in base alla quantità (assente, moderato, abbondante), all’aspetto (sieroso, siero-ematico e purulento) e in base alla presenza o assenza di odore. Se la quantità dell’essudato prodotta non viene controllata, questo può venire a contatto con la cute perilesionale e provocare macerazioni, con possibile estensione delle dimensioni dell’ulcera. Una notevole quantità di essudato deve allertare sulla presenza di cause sottostanti, come la presenza di edema, o rappresentare un segno precoce di infezione.
L’edema deve quindi essere trattato, poiché causa di ritardo di guarigione per ragioni ancora non completamente conosciute, ma che probabilmente rappresentano una combinazione di ridotto flusso ematico, aumentata colonizzazione batterica dovuta all’accumulo di fluido interstiziale e forse intrappolamento di fattori di crescita e altri peptidi chiave da parte di macromolecole che fuoriescono dallo spazio extravascolare.
La presenza di essudato abbondante può inoltre rappresentare
un segno precoce di infezione in alcuni casi il colore e l’odore
dell’essudato possono rappresentare una guida sul tipo di microrganismo implicato, come nel caso di contaminazione da pseudomonas, che determina un essudato verdastro dal caratteristico odore.
· Controllo dell’infezione
Nella pratica clinica, può essere difficile valutare un ulcera che passa da una carica batterica non patologica a una vera e propria infezione in grado di ritardare il processo di guarigione.
Sono stati recentemente introdotti i concetti di contaminazione batterica, colonizzazione, colonizzazione critica e infezione locale o sistemica, che rappresentano una guida per l’uso di agenti antimicrobici.
La maggior parte delle ulcere è contaminata e contiene microrganismi non proliferanti. La colonizzazione è rappresentata dalla presenza di microrganismi replicanti ma che non causano danno all’ospite. Né la contaminazione nè la colonizzazione determinano segni clinici d’infezione o ritardo di guarigione.
Il concetto di colonizzazione critica (aumentata carica batterica) è stato introdotto recentemente per descrivere ulcere in movimento dalla semplice colonizzazione alla vera e propria infezione.
E’ stato suggerito che durante la colonizzazione critica possano
essere presenti segni clinici modesti d’infezione, quali aumento
del dolore o senso di tensione, aumento dell’essudato sieroso, comparsa di tessuto di granulazione friabile, o mancanza di guarigione, prima dei segni classici di odore, pus, eritema circostante ed edema classici di infezione conclamata. (20)
La presenza di un’infezione può coincidere con la presenza di materiale giallastro colliquato. Nella fase di granulazione un’aumentata carica batterica può determinare la comparsa di tessuto di granulazione di colore scuro, esuberante, friabile e maleodorante. L’ipergranulazione deve essere rimossa per favorire la riepitelizzazione.
Bisogna ricordare tuttavia come molti pazienti con ulcere croniche presentano un ritardo di guarigione. Questi pazienti possono anche mostrare segni sub-clinici o avere completa assenza di segni d’infezione, nonostante i microrganismi stiano danneggiando il letto dell’ulcera.
Fattori come l’immunosoppressione, il diabete e alcuni farmaci possono inoltre favorire un processo infettivo e mascherare i segni classici dell’infezione, quali eritemi, aumento della temperatura, dolore e edema locale.
Una causa importante di aumento della contaminazione batterica e di ritardo della cicatrizzazione è rappresentata dalla presenza di uno spazio morto non colmato. (21)
Le aree cavitarie, o sottominate, dell’ulcera devono essere quindi gentilmente zaffate con adeguati materiali di medicazione, evitando un iper- riempimento della cavità che determinerebbe, infatti, una compressione del tessuto di granulazione neoformato creando un danno che impedisce o ritarda la guarigione. L’iper-riempimento può inoltre ridurre la capacità assorbente del materiale di medicazione impedendo l’assorbimento dell’essudato.
In presenza di sospetto di infezione locale, un esame colturale risulta d’ausilio per evidenziare i microrganismi presenti e
valutare la carica batterica.
Il semplice lavaggio mediante irrigazione dell’ulcera, oltre ad eliminare l’essudato e i detriti superficiali, rappresenta già una metodica efficace nel ridurre la carica batterica e rimuovere il materiale contaminato dalla superficie dell’ulcera.
L’uso di antisettici locali appare ancora controverso, in quanto a una riduzione della proliferazione batterica si associano spesso effetti citotossici.
Sotto questo profilo, il povidone/iodio e la clorexidina appaiono i prodotti dotati di minor attività istolesiva a fronte di una buona attività terapeutica.
Sono attualmente disponibili prodotti antisettici in grado di rilasciare lentamente il principio antibatterico in modo di ridurre la tossicità cellulare e tissutale. Tra questi il cadexomero iodico permette, inoltre, la creazione di un ambiente umido.
La sua composizione in microsfere polisaccaridiche (cadexomero), gli permette di assorbire liquidi fino a sette volte il suo peso in acqua, mentre il lento rilascio dello iodio garantisce una adeguata antisepsi in assenza di effetti citotossici.
Un’estensione dei segni clinici d’infezione oltre i limiti della lesione, o un’esposizione ossea, impongono sempre il ricorso
ad antibiotici per via generale.
· La fase di riepitelizzazione
Coincide con la comparsa di bottoni di nuovo epitelio ai margini della lesione, ma anche nelle sue porzioni centrali a partenza dalle strutture follicolari residue.
Questa fase rappresenta lo stadio conclusivo di un’adeguata preparazione di un letto di una lesione ben vascolarizzato, in
cui sono stati creati i presupposti per il proseguimento dei meccanismi fisiologici della cicatrizzazione.
In questa fase appare importante soprattutto la copertura della lesione, al fine di evitare la contaminazione batterica, mediante
materiali in grado di mantenere un’adeguata umidità locale e di essere rimossi senza danneggiare i fragili bottoni di granulazione e di riepitelizzazione neoformati.

3. TERAPIA DELLE ULCERE
I numerosi studi circa l’importanza del microambiente ai fini della guarigione dell’ulcera, hanno data vita alla commercializzazione di varie categorie di medicazioni definite “avanzate” che trovano, di volta in volta, precise indicazioni a secondo della fase dell’ulcera.
Si è visto, però, che anche la più moderne metodiche terapeutiche, se applicate ad un’ulcera non pronta a riceverle, risultano di scarsa attività se non addirittura fallimentari pur non essendolo.
Di qui la necessita dell’introduzione del concetto di “preparazione del letto dell’ulcera “(wound bed preparation ).
Il percorso clinico per la “preparazione del letto dell’ulcera” e quindi per la terapia dell’ulcera cutanea, prevede almeno
quattro momenti fondamentali che nella pratica clinica sono spesso applicati contemporaneamente e conseguenzialmente :
1 DETERSIONE PRIMARIA;
2 ANTISEPSI;
3 SBRIGLIAMENTO;
4 MEDICAZIONE
.

· La detersione primaria
E’ la prima procedura da applicare e avviene mediante semplice ma accurato lavaggio dell’ulcera allo scopo di rimuovere dal fondo polvere ed essudati e alleviare il dolore. Può essere attuata mediante strofinamento tangenziale con garza imbevuta di soluzione fisiologica o con semplice irrigazione. Richiede di particolare attenzione nelle fasi di guarigione per non rimuovere
tessuto di granulazione del fondo e pertanto è eseguita, in questo caso, con irrigazione a bassa pressione.
· L’antisepsi
E’ una fase molto complessa legata al concetto che ogni perdita della continuità della cute comporta contaminazione e
colonizzazione batterica, eventi che possono non necessitare di trattamento.
E’ solo a fronte dei segni locali e generali d’infezione (eritema, edema, pus, dolore, febbre) che s’impone un trattamento. L’uso di disinfettanti topici dovrebbe essere ridotto al minimo per la loro nota azione cito e isto- lesiva, pur tuttavia bisogna anche considerare la loro notevole attivita; per tali ragioni molti Autori suggeriscono saltuarie utilizzazioni , mentre altri , considerandoli attivi anche a diluizioni non citotossiche , suggeriscono tale metodica; certamente molto utile, ove disponibile, la coltura con topogramma (antisetticogramma ) . Fra i meno cito- istolesivi sicuramente si possono segnalare il cadexomero iodico e l’argento ionizzato.
Inoltre, nei recenti lavori riguardanti l’adeguata preparazione del fondo (22-23) viene da più parti suggerito di trattare anche le colonizzazioni, in assenza dei segni d’infezione, dal momento che l’alta carica batterica (colonizzazione critica) è causa di abbondante essudato che rallenta i processi di guarigione e impedisce l’attivita dei sostituti cutanei e dei fattori di crescita. Forse per la prima volta gli Autori nord-americani consentono anche l’utilizzazione, in casi selezionati, di antibiotici topici (mupirocina).
· Lo sbrigliamento
La presenza di tessuto devitalizzato allunga la risposta
infiammatoria, ostacola meccanicamente la contrazione, impedisce la riepitelizzazione e soprattutto costituisce un ottimo substrato allo sviluppo di infezioni oltre a impedire un’adeguata valutazione visiva del letto dell’ulcera. Pertanto l’ablazione di tessuto devitalizzato che si presenti, sia come vera e propria escara, sia come induito fibrinoso al fondo, rappresenta uno degli atti fondamentali per la guarigione dell’ulcera.
I metodi di sbrigliamento sono sostanzialmente quattro:
a) Chirurgico ;
b) Enzimatico ;
c) Autolitico ;
d) Meccanico
;
La scelta del metodo più idoneo è legata a vari fattori inclusi le condizioni cliniche generali del paziente, l’aspetto della lesione, la disponibilità di adeguate attrezzature. Ognuna delle quattro tecniche presenta vantaggi e svantaggi, indicazioni e controindicazioni.
· La Tecnica Chirurgica
E’ la più rapida e a basso costo, migliora la perfusione locale, riduce il rischio d’infezione e, provocando un sanguinamento, favorisce il rilascio di citochine piastriniche utili alla guarigione. Richiede però a volte di anestesia, specie per ampie escarectomie, ed è comunque causa di dolore; eventuali terapie anticoagulanti devono essere tenute in considerazione per il sanguinamento che provoca.
Controindicazioni maggiori sono rappresentate dall’inesperienza dell’operatore, le gravi insufficienze vascolari, che renderebbero l’ulcera scarsamente suscettibile alla guarigione, e la presenza di setticemia in assenza di adeguata copertura antibiotica.
E’ generalmente considerato un metodo selettivo, ma in condizioni particolari può diventare non selettivo per ablazione di tessuti vitali circostanti. E controindicata nella necrosi del tallone senza segni di infiammazione o edema. (24)
· Il Metodo Enzimatico
E’ sicuramente il più selettivo. Prevede l’applicazione di enzimi proteolitici che agiscono principalmente sul collagene nativo che lega la necrosi al letto dell’ulcera. Tra i prodotti disponibili
sul mercato la collagenasi, sintetizzata dal “clostridium histilyticum”, oltre ad aver dimostrato maggior attività proteolitica rispetto ad altri, incrementa l’attivazione e la mobilità dei cheratinociti. (25)
Deve però essere applicata giornalmente ed in assenza di
detergenti, antisettici, metalli pesanti ed antibiotici che ne potrebbero inattivare l’azione.
In caso di escare di notevole spessore può essere consigliabile praticare delle incisioni lineari per consentire un maggiore assorbimento del prodotto.
Spesso nella pratica clinica la metodica enzimatica precede quella chirurgica per renderla più agevole.


· Lo sbrigliamento autolitico
Avviene in qualche misura spontaneamente in tutte le ferite, è un processo molto selettivo che coinvolge macrofagi ed enzimi proteolitici, che liquefanno e separano il tessuto devitalizzato da quello sano.
Medicazioni quali le schiume di poliuretano, idrogel e films, mantengono un ambiente umido e favoriscono i processi autolitici fisiologici. In particolare gli idrogel, sia in forma di placca sia amorfi (gel) agiscono cedendo notevoli quantità
d’acqua mentre, le schiume di poliuretano mantengono l’ambiente umido e possiedono attivita fibrinolitica.
Il debridement autolitico richiede, però, tempi più lunghi rispetto ad altre tecniche, anche se è certamente indolore e molto selettivo; è controindicato su ulcere infette e in pazienti immunocompromessi.

· Lo Sbrigliamento Meccanico
E’ un metodo non selettivo che rimuove fisicamente tessuti devitalizzati.
Una delle tecniche più in uso è la cosiddetta medicazione wet to dry che consiste nell’applicare garze umide che, cedendo acqua, essiccano e alla loro rimozione dopo 4-6 ore, strappano via il tessuto devitalizzato adeso alla garza.
E’ sicuramente causa di dolore per il paziente, d’impegno temporale per il personale addetto, di macerazione dei tessuti sani perilesionali e inoltre può provocare danni all’eventuale tessuto neoformato del letto dell’ulcera.


LA MEDICAZIONE
La medicazione è classicamente distinta in primaria e secondaria:
La medicazione “Primaria” è quella a contatto del letto dell’ulcera, quella “Secondaria” è la copertura della precedente. Pur essendo evidente che la medicazione primaria è quasi sempre una medicazione avanzata, non è altrettanto ovvio che quella secondaria sia sempre una semplice fasciatura; a volte infatti si possono associare due medicazioni avanzate, l’una come primaria l’altra come secondaria ; un classico esempio è la medicazione di un idrogel amorfo su ulcera a
fondo ricoperta di tessuto devitalizzato e la copertura con un
film che consente fra l’altro, di valutare per la sua trasparenza l’evoluzione nel tempo della medicazione stessa.
Atteso il concetto base di ambiente umido, la scelta della medicazione in una qualunque fase del processo riparativo, influenza notevolmente gli eventi successivi, per tale ragione sibbald et al (23) , hanno riassunto le raccomandazioni AHCPR (Agency for Health Care Policy and Research) in sette punti:
- E’ importante usare una medicazione che manterrà l’ambiente umido;
- Usare giudizio clinico per scegliere la medicazione umida adeguata al tipo di ulcera;
- La medicazione scelta deve mantenere contemporaneamente umida la cute circostante;
- La medicazione deve controllare gli essudati senza asciugare il fondo e non macerando il bordo sano;
- Medicazioni semplici da usare e che non richiedono cambi frequenti riducono l’impegno temporale del personale addetto;
- E’ importante riempire bene le cavità ma si devono evitare le medicazioni eccessive per non danneggiare eventuali tessuti neoformati e per non ridurre le capacità assorbenti;
- Tutte le medicazioni devono essere adeguatamente monitorate con particolare riguardo a quelle in sedi di scorrimento o vicino all’ano.
Nessuna delle medicazioni disponibili può essere adeguata a tutte le raccomandazioni e pertanto è utile a questo punto fare
riferimento alle caratteristiche delle singole medicazioni avanzate per suggerire le indicazioni migliori per quella medicazione.
Le schiume sono primariamente utili in ulcere molto essudanti, o con induito particolarmente sieroso. Gli alginati sono ideali nelle ulcere infette e/o modicamente sanguinante. Gli idrogel sono particolarmente appropriati per il trattamento delle ulcere
con induito fibrinoso asciutto o con scarso essudato e per le escare.
Le schiume di poliuretano sono indicate nel debridment autolitico per ulcere con essudato da lieve a moderato e nelle fasi di guarigione per promuovere la granulazione. I film sono ideali per le ultime fasi di guarigione, granulazione e riepitelizzazione, per le loro caratteristiche di permeabilità all’ossigeno e al vapore acqueo e impermeabilità all’acqua e ai batteri.
Nella fase di buone detersione dell’ulcera deve essere preso in considerazione anche l’approccio chirurgico con la possibilità di coprire il fondo con innesti liberi nelle ulcere superficiali, con lembi sottili o spessi nelle ulcere più profonde.
Si devono menzionare i fattori di crescita per uso topico, che necessitano come detto, di fondo completamente deterso e quotidiane applicazioni e sono di costo relativamente basso.
Molto costosi sono anche i sostituti cutanei biologici che in ogni modo richiedono di assenza d’infezione, necrosi, sanguinamento o dermatite e la cui applicazione a volte necessita di essere anche
più volte ripetuta.
Infine l’ultimo ritrovato della biotecnologia per la cura delle ferite è il gel piastrinico.
Si tratta di un concentrato di derivati ematici autologhi, che si prefigge un approccio inedito per la guarigione delle lesioni utilizzando i fattori di crescita e le cellule per riparare i tessuti.



STORIA DELLA TERAPIA IPERBARICA (27).

L’ossigenoterapia iperbarica (O.T.I ) è intimamente connessa con la medicina subacquea e, quindi, all’avventura dell’uomo nel mare. Le prime tracce d’attività subacquea, risalgono al 900 a.c. in seguito, però compaiono notizie di subacquei impiegati in operazioni militari.
Sin da allora, inoltre, si è cercato il modo per fornire al subacqueo l’aria affinché potesse restare sott’acqua il più a lungo possibile. Bisogna aspettare però il 1531, anno in cui viene utilizzata per la prima volta la campana d’immersione, per raggiungere un’autonomia di alcune ore sott’acqua. Nel 1772 Priestly scoprì l’ossigeno e, poco tempo dopo Lavoisier (1773) ne chiarì la funzione nella respirazione. L’uso terapeutico dell’ossigeno normobarico avvenne per la prima volta nel 1783, in Inghilterra grazie a Beddoes, il quale spinto dall’entusiasmo per il suo progetto, costituì la “Medical Pneumatic Institution “, dove cercò di trattare con l’ossigeno i tipi più disparati di malattie, come la scrofola, la lebbra e la paralisi raccogliendo numerosi insuccessi . In seguito John Smeaton progettò delle camere di dimensioni tali da poter, alloggiare contemporaneamente più persone, inoltre, l’utilizzo di pompe ad
alta capacità consentì di erogare aria ad una pressione tale da impedire all’acqua di entrare .Queste camere asciutte furono chiamate “ caissons “, parola francese che significa letteralmente “scatoloni o cassoni”. Col tempo si costruirono cassoni nei quali, dalla superficie, attraverso una camera di trasferimento, uomini e materiali potevano entrare ed uscire mantenendo costante la pressione nel loro interno.
Grazie a queste strutture si potevano svolgere attività subacquee per lunghi periodi di tempo e vennero quindi molto utilizzate soprattutto per lavori particolari, quali scavi per fondazioni di
ponti o per la costruzione di tunnel. Sin dall’inizio, però, si noto che quasi tutti i cassonisti venivano colpiti da disturbi respiratori oppure da dolori acuti a livello articolare (o addominale), inoltre, tali individui affermavano di stare meglio durante l’immersione che alla fine della giornata lavorativa. Poiché non si conosceva ancora l’influenza della pressione sull’azoto, tale fenomeno fu attribuito rispettivamente al riposo precedente al lavoro ed alla fatica accumulata al termine di esso. Con l’impiego dei cassoni in progetti più importanti e con l’aumento della pressione a cui si esercitava il lavoro, i problemi fisiologici aumentarono (per numero e gravita) e l’incidenza dei decessi diventò allarmante .
Questa patologia fu pertanto denominata malattia dei cassoni,
e solo nel 1878, il filosofo francese Paul Bert ne descrive l’evento fisiopatologico. In concomitanza con lo sviluppo delle attività subacquee, e come diretta conseguenza di queste, si è avuta una maggiore diffusione della medicina iperbarica ed un ampliamento delle indicazioni terapeutiche e, quindi, si è cominciato ad utilizzare, con razionalità, l’ossigeno iperbarico in tutti i casi d’ipossia tessutale . I primi centri Italiani di terapia iperbarica sono sorti quasi contemporaneamente, a Napoli e a Torino intorno agli
anni sessanta. In particolare il centro Napoletano fu istituito dal
prof. Nicola Cocchia, e risalgono a quel periodo le prime ricerche sperimentali della Sua Scuola su alcuni meccanismi d’azione dell’O.T.I ( azione antiedemigena e antibatterica ) , successivamente seguite da studi sull’applicazione dell’O.T.I nella terapia della necrolisi tossica epidermica , e della sindrome da schiacciamento .

FISIOLOGIA DELL’OSSIGENO E MECCANISMO D’AZIONEDELL’O.T.I (28)
L’ossigeno è un gas inodore, incolore, senza gusto non infiammabile, indispensabile per vivere e per i processi di combustione.
In iperbarismo la ppO2 diventa circa 22 volte più elevata che in normobarismo .
Come aumenta in iperbarismo la pressione parziale di O2 alveolare, cosi aumenta la quota di O2 trasportata nel sangue . L’ossigeno iperbarico, quindi, rende il plasma in grado di soddisfare pienamente le esigenze dell’organismo, anche in assenza di emoglobina, secondo un fenomeno che prende il nome di “plasma skimming “ , funzionante solo se la pressione parziale di O2 è superiore o uguale a 100 mmHg.
Giunto ai tessuti, l’O2 si deposita in essi . L’ossigeno si accumula soprattutto nei polmoni e nel sangue.
Molteplici sono i meccanismi d’azione e gli effetti dell’O.T.I , che possono essere cosi elencati:
· Il miglioramento dell’emoreologia e, quindi, del microcircolo , attraverso l’aumento della deformabilità degli eritrociti ;
· Il ripristino dei meccanismi aerobi cellulari e tessutali;
· La distanza di diffusione dell’ossigeno si quadruplica in iperbarismo;
· La riduzione dell’edema perilesionale.

Quest’ ultimo è causa di aggravamento dell’ischemia , per l’effetto compressivo esercitato sul microcircolo, con riduzione della diffusione di O2. L’O.T.I esplica tale azione antiedemigena sia attraverso l’azione vasocostrittrice ,con conseguente riduzione del flusso arterioso ed arteriolare, sia attraversa la ripresa funzionale dell’endotelio vascolare e, quindi con minori danni da alterata permeabilità ;
· La proteolisi del tessuto necrotico, la trombolisi , la
proliferazione dei fibroblasti, del collagene, e dei capillari, la migrazione di cellule epiteliali neosintetizzate, l’attivazione di osteoclasti/osteoblasti, a valori pressori di O2 non inferiori a 30 mmHg ;
· La neoformazione dei vasi capillari nelle aree danneggiate;
· L’inibizione dell’adesione ei leucociti all’endotelio nei tessuti danneggiati , favorendo la ricanalizzazione;
· L’aumento della “killing ability” dei leucociti e l’inibizione della produzione di tossine in alcuni germi anaerobi ;
· L’azione battericida e batteriostatica esplicata dai radicali liberi, che agirebbero sui lipidi e sulle proteine di membrana ;
· La stimolazione (a 4 ATA) dei polimorfonucleati alla produzione di sostanze battericide , come il perossido di
· idrogeno , l’ipoclorito, le coramine, attraverso l’attivazione della NADPH ossidasi e della mieloperossidasi, presente nei vacuoli ;
· La riduzione dell’acido lattico ematico ;
· Compressione e riduzione dell’aria presente nell’organismo.

INDICAZIONI, CONTROINDICAZIONI ED EFFETTI COLLATERALI DELL’OSSIGENOTERAPIA IPERBARICA (29)
Il trattamento iperbarico è una metodica che tende a sfruttare la pressione di un gas come effetto terapeutico. Per camera iperbarica s’intende un ambiente dove sia possibile aumentare con aria ed in modo controllato la pressione interna fino a valori determinati (massimo 6 ATA- 5 bar).
L’ossigenoterapia iperbarica (O.T.I) è la somministrazione per via inalatoria d’ossigeno al 100% ad una pressione superiore a quella dell’ambiente (massimo 2,8 ATA 1,8 bar per un tempo non inferiore a 60 minuti intervallato da tre pause di 3-5 min), al fine di sfruttare la solubilità di un gas in un liquido e la sua
diffusione tissutale, in base ad un elevato gradiente di pressione.
La terapia si svolge in tre fasi:
1) Fase di compressione o discesa
2) Quota di terapia ;
3) Fase di decompressione o risalita ;


Inizialmente considerata quale un indispensabile presidio terapeutico di alcune patologie acute, quali l’embolia gassosa arteriosa (EGA), la malattia da decompressione (MDD), e le intossicazioni da monossido di carbonio (CO) o da sostanze metaemoglobinizzanti, l’ossigenoterapia iperbarica ha successivamente, trovato largo impiego in numerose altre affezioni .
Le indicazioni all’O.T.I sono state fondamentalmente suddivise in due categorie:

1) Indicazioni indilazionabili , urgenti e primarie per le quali l’O.T.I riveste un ruolo determinante :
· Embolia gassosa arteriosa (EGA) ;
· Malattia da decompressione ( MDD);
· Intossicazione da monossido di carbonio (CO);
· Gangrena gassosa da clostridi ;
· Infezione del derma da flora batterica mista ;
· Piede diabetico gangrenoso ;
· Sindrome da schiacciamento (crush syndrome);
· Osteoradionecrosi e radionecrosi dei tessuti molli;
· Sordità neurosensoriale improvvisa ;

2) Indicazioni in cui l’O.T.I è di sicuro vantaggio , da sola o associata ad altre terapie mediche o chirurgiche
· Osteomielite cronica refrattaria ;
· Trapianti cutanei a rischio ;
· Insufficienze arteriose periferiche ;
· Fratture a rischio ;
· Osteoporosi post-traumatica (morbo di Sudek) ;
· Ferite problematiche ( piaghe torpide da trauma, decubito, ustioni termiche ed elettriche, ulcere da insufficienza arteriosa e venosa );
· Actinomicosi refrattaria ;
· Reimpianto di arti o segmenti ;
· Trombosi dell’arteria o della vena centrale della retina ;
· Retinite pigmentosa ;
· Retinite diabetica ;
· Ustioni estese o malattia da ustione ;

Controindicazioni assolute al trattamento iperbarico.
· Enfisema bolloso ;
· Asma evolutivo ;
· Episodi di pneumotorace spontaneo ;
· Claustrofobia ;

Controindicazioni concernenti il trattamento iperbarico
· Otiti e/o sinusiti recidivanti ;
· Patologie cardiache ischemiche e/o congestizie ;
· Ipertensione arteriosa non trattata farmacologicamente ;
· Patologie polmonari restrittive di grado elevato ;
· Glaucoma e/o distacco di retina ;
· Gravidanza normoevolvente (primo trimestre) nei trattamenti iperbarici per patologie non acute ;

Effetti collaterali dell'O.T.I
· Tossicità dell’ossigeno da radicali liberi ;
· Barotraumi .


L’INFERMIERE DI CAMERA IPERBARICA(30)
I moderni impianti iperbarici hanno ormai raggiunto un tale livello di complessità da richiedere personale altamente specializzato ed aggiornato, sia in campo sanitario che tecnico.
A tale proposito, è stato indicato da apposite commissioni tecnico-scientifiche l’organico ottimale che un Servizio di O.T.I deve avere e che prevede la collaborazione, a tempo pieno delle seguenti figure professionali:
· Responsabile sanitario;
· Personale sanitario ;
· Personale tecnico;
· Personale amministrativo;
Il personale sanitario è costituito da medici e infermieri.
Gli infermieri che operano in un centro iperbarico, devono avere l’idoneità psico-fisica al lavoro in ambiente iperbarico, conoscenze delle tecniche di assistenza intensiva, apposita formazione sull’assistenza sanitaria ad un paziente trattato in iperbarismo e padronanza delle procedure relative alle manovre da effettuare all’interno della camera .
Il personale sanitario di assistenza deve essere presente all’interno della camera, insieme ai pazienti, in tutti i casi elencati nella (tabella 1)
L’infermiere di camera iperberica, oltre a svolgere mansioni organizzative proprie della professione (preparazione e controllo delle attrezzature indispensabili per un centro O.T.I) (tabella 2),deve assistere il paziente, sia durante la terapia ordinaria sia durante una terapia d’emergenza.
La mia attenzione sarà prevalentemente rivolta alla terapia ordinaria, che può essere suddivisa in tre momenti :
1. Assistenza durante la visita d’idoneità;
2. Assistenza in camera iperbarica;
3. Assistenza dopo il trattamento con ossigeno iperbarico (medicazione);

L’INFERMIERE DURANTE LA VISITA D’IDONEITA’ AL TRATTAMENTO.
La visita d’idoneità al trattamento viene effettuata dal medico specialista in anestesia e rianimazione assistito da un infermiere.
La visita è fondamentale per valutare l’indicazione e l’idoneità del paziente al trattamento, essa rappresenta il momento chiave di tutta l’impostazione terapeutica.
Deve essere nel suo insieme un esame approfondito del paziente e della sua documentazione clinica.
L’infermiere, in questa fase, partecipa alla compilazione della
cartella clinica, ed alla raccolta delle indagini strumentali quali ECG, RX TORACE,(fondamentali per valutare il rischio cardiologico e polmonare), ed ancora, raccoglie e controlla la documentazione clinica specialistica (O.R.L.) al fine di individuare patologie che possano rappresentare una controindicazione al trattamento iperbarico .
Nel caso in cui un paziente è affetto da lesioni cutanee il medico, con l’aiuto dell’infermiere, deve valutare la lesione del paziente dando indicazioni circa il tipo di medicazione da eseguire ed il numero di controlli settimanali.
E’ fondamentale in un centro O.T.I fotografare una lesione prima di iniziare il trattamento iperbarico e avviare il programma di trattamento della lesione, al fine di monitorizzare e documentare il processo di guarigione della lesione.
Dopo aver esaminato il paziente, il medico, informa l’infermiere circa il numero di sedute e la pressione di trattamento ed insieme illustrano al paziente il comportamento da tenere prima e durante la terapia iperbarica, con informazioni riguardanti le diverse manovre di compensazione, da effettuare ai fini di una corretta compensazione (tabella3 ), il vestiario, oggetti e/o prodotti cosmetici permessi o proibiti (tabella 4).
Prima dell’inizio della terapia , è d’obbligo in un centro O.T.I,
che il medico inviti il paziente a leggere e firmare il “consenso informato” documento contenente :
Obiettivi, rischi, procedura terapeutica ,comportamento da assumere in camera , eventuali effetti collaterali, documento
controfirmato dal responsabile medico.(tabella 5)

L’ASSISTENZA INFERMIERISTICA IN CAMERA IPERBARICA.
La chiamata per l’accesso nel centro iperbarico viene effettuata dall’infermiere, il quale presa visione delle cartelle cliniche,
complete dei documenti per l’autorizzazione al trattamento, inizia a registrare i pazienti che dovranno sottoporsi al trattamento.
Ogni paziente ha un armadietto personale nel quale depositare il vestiario e tutti gli oggetti in suo possesso e riceve ed indossa il camice ignifugo, privo di tasche a manica lunga e calzari .
Il medico prima di dare inizio alla terapia si accerta delle buone condizioni psico- fisiche dei pazienti, mentre l’infermiere provvede all’assistenza nella vestizione dei pazienti non autosufficienti, ed alla corretta gestione dei presidi sanitari di cui i pazienti possono disporre (cateteri vescicali, terapie infusive, sistemi di drenaggio, ed altro).
In caso vi siano pazienti portatori di cannule tracheostomiche,
l’infermiere deve assicurarsi che in camera vi sia tutto il necessario per la corretta esecuzione della terapia del paziente tracheostomizzato (aspiratore di muchi , raccordi per cannule).
Una volta che i pazienti sono entrati in camera, ci si accerta, ancora una volta, che tutti abbiano compreso le manovre di compensazione e che tutti abbiano lasciato fuori gli oggetti ed i materiali assolutamente vietati in camera.
Il ruolo dell’infermiere in camera iperbarica è rivolto ad assistere i pazienti durante tutte le fasi della terapia, garantire loro la massima sicurezza e una corretta terapia iperbarica.
La fase di compressione o discesa è il momento che corrisponde alla pressurizzazione, che si identifica con l’immissione dell’aria in camera iperberica; la pressione aumenta, cosi come durante un’immersione subacquea, con la differenza che l’ambiente, in questo caso, non è umido, bensì secco.
La fase di discesa è attuata con una velocità di circa 1 metro al minuto ed è, comunque, condizionata sia dalla capacità di compensare del paziente sia dalle sue patologie, attuali e/o pregresse ; la durata di questa fase è, inoltre, variabile in funzione della batimetria a cui verrà effettuato il trattamento.
Durante la compressione si determinano variazioni di aumento di temperatura ed umidità ; sarà cura dell’operatore mantenerle entro limiti accettabili .
I pazienti dovranno effettuare, tempestivamente e preventivamente, la manovra di compensazione, con le metodiche già descritte dal medico prima della seduta iperberica; tale manovra serve a ristabilire l’equilibrio tra l’aumentata pressione atmosferica all’esterno della membrana timpanica e quella presente nell’orecchio medio.
La mancata ( o inefficace ) effettuazione della compensazione può determinare notevoli alterazioni dell’apparato uditivo, che si configurano nella patologia da barotrauma .
In questa fase, quindi, l’ infermiere di camera iperbarica deve rivolgere la sua attenzione ad individuare e quindi sorvegliare in modo particolare quelli che possono essere i potenziali pazienti a rischio per una mancata o inadeguata compensazione e quindi a rischio per lesioni timpaniche.
Raggiunta la quota di circa 1,3 ATA, i pazienti iniziano a respirare ossigeno, attraverso maschere oro-facciali a domanda, che l’infermiere presente in camera deve posizionare correttamente al fine di assicurare, non solo una corretta terapia, ma anche di scongiurare eventuali dispersioni di ossigeno all’interno della camera iperbarica.
Una volta raggiunta la quota terapeutica, l’infermiere controlla
nuovamente il corretto posizionamento delle maschere e in
comunicazione tramite interfono con il tecnico iperbarico chiede
ulteriore conferma circa la normale percentuale di ossigeno in camera. Soprattutto in quota l’attenzione dell’infermiere deve essere rivolta all’individuazione precoce di quelli che possono essere i segni e i sintomi di un evento acuto legato all’iperossia e/o alle patologie di base dei pazienti ( convulsioni, crisi ipoglicemiche, crisi vagali ). La somministrazione di ossigeno al paziente può avvenire in tre cicli, intervallati da circa cinque minuti, oppure in un ciclo unico della durata totale di 70 minuti.
La somministrazione di ossigeno continuerà anche risalita fino alla batimetria 1.3 ATA.
La fase di decompressione o risalita, è caratterizzata dalla diminuzione della pressione, sino ai valori di quella atmosferica (1ATA). La fase di decompressione avviene con una velocità di circa 1 mt al minuto e la sua durata dipende sia dalla batimetria raggiunta per poter effettuare la terapia sia dalle condizioni del paziente. Anche in questa fase, le eventuali variazioni di temperatura e umidità dovranno essere mantenute, ad opera del tecnico, entro limiti accettabili.
I pazienti devono continuare a respirare normalmente, senza trattenere aria nei polmoni.
A fine terapia i pazienti devono rimanere seduti al loro posto fino all’apertura della camera.
Durante questa fase i compiti dell’infermiere restano invariati rispetto a quelli delle fasi precedenti, (ad eccezione del controllo della compensazione), va rivolta, però, particolare attenzione alla prevenzione di un evento traumatico della membrana timpanica , causato dalla mancata estroflessione della membrana che in condizioni normali avviene durante la fase di decompressione.
Si tratta di un evento raro, ma molto doloroso che crea seri danni alla membrana timpanica. Anche in questo caso è compito dell’infermiere accertarsi che nessun paziente abbia fastidi e/o
dolori durante questa fase, in caso ciò si verifichi si avvisa urgentemente il conduttore il quale provvederà eventualmente a ridurre la velocità di decompressione.
Al termine della seduta, l’infermiere indirizza i pazienti autosufficienti agli spogliatoi, successivamente accompagna i pazienti non autosufficienti al di fuori della camera e provvede alla svestizione.
Qualora i pazienti durante la terapia presentassero otalgia, o altri disturbi, verranno accompagnati dal medico, il quale sottoporrà i pazienti ad una visita più accurata .



L’INFERMIERE E LA MEDICAZIONE
Alla fine della seduta iperbarica vengono eseguite le medicazioni di controllo, secondo un calendario settimanale stabilito dal medico.
Le medicazioni vengono effettuate dall’infermiere su indicazione del medico, il quale, durante la visita di idoneità al trattamento da indicazioni all’infermiere circa il tipo di medicazione da effettuare.
La sostituzione della medicazione costituisce un momento molto importante ai fini della guarigione di un’ulcera .
L’infermiere che opera in un centro di ossigenoterapia
iperbarica, deve possedere delle capacita specialistiche per poter
eseguire la sostituzione di una medicazione di una ferita acuta o cronica a guarigione secondaria .
In questo caso, infatti, la medicazione della ferita rappresenta un intervento terapeutico essenziale con il quale si possono influenzare tutte le fasi del processo di guarigione della ferita. E’dunque chiaro che anche la qualità della sostituzione della medicazione è corresponsabile per il successivo decorso del processo di guarigione.
Ogni sostituzione della medicazione deve avvenire in condizioni di sterilità. Poiché la maggior parte delle infezioni delle ferite viene trasmessa con il contatto delle mani, nella sostituzione della medicazione, si deve sempre adottare la cosiddetta “non- touch – technic”, in cui la ferita o la medicazione non vanno mai toccate con le mani nude.
La sostituzione della medicazione deve essere eseguita preferibilmente da due persone, previa preparazione di un apposito carrello delle medicazioni, munito di tutto il materiale per le medicazioni.( Tabella 6) .
Durante il cambio della medicazione, l’infermiere deve porre particolare attenzione a tre aspetti fondamentali:
1 ) Garantire la massima asepsi durante la pratica;
2) Sostegno psico- fisico al paziente;
3) Provocare minimo dolore possibile durante le manovre;
Senza mai perdere di vista gli obiettivi su indicati, l’iter procedurale nell’esecuzione pratica della medicazione può essere schematizzato ed ordinato nel seguente modo:
A )Avvisare il paziente in tempo utile, circa la sostituzione della medicazione;
B )Preparare l’ambiente in cui si effettuerà la medicazione assicurando una corretta fonte di luce, eliminando evidenti serbatoi di germi, e riparando il paziente dalla vista di altre persone ;
C) Preparare il carrello delle medicazioni;
D) Posizionare il paziente in modo comodo e con la zona da medicare ben esposta ;
E) Disinfettare accuratamente le mani ed indossare guanti monouso non sterili ed eventualmente indumenti di protezione ( mascherina, grembiule, occhiali di protezione) ;
F) Rimuovere il fissaggio della medicazione;
G) Rimuovere con delle pinze sterili la medicazione, facendo attenzione a non forzare la rimozione in caso di adesione della garza alla ferita . In tal caso è necessario imbibire la medicazione con soluzione fisiologica fino a totale distacco dalla lesione, ciò al fine non solo di ridurre il dolore durante questa manovra, ma soprattutto di evitare danni ad un eventuale tessuto neoformato.
H) Gettare la medicazione nei rifiuti settici, eliminare le pinze usate, e gettare via i guanti usati ;
I) Indossare guanti monouso sterili ed ispezionare la ferita segnalando eventuali modificazioni cliniche rispetto alle medicazioni precedenti e quindi rispetto alla valutazione iniziale della lesione;
J) Detergere la lesione mediante una lavaggio semplice ma accurato con soluzione fisiologica ed eventualmente valutare se ci sono gli estremi per una detersione più complessa ( sbrigliamento);
K) Asciugare la lesione, utilizzando ovviamente pinze e garze sterili, tamponando delicatamente la zona ;
L) Disinfettare la lesione e la cute perilesionale, utilizzando antisettici a bassa attività istolesiva, e facendo attenzione a proseguire dal centro verso l’esterno in caso di ferite non infette e viceversa ;
M) Risciacquare abbondantemente con soluzione fi siologica al fine di eliminare ogni traccia di disinfettante che oltre ad essere istolesivo potrebbe anche inattivare gli eventuali prodotti medicamentosi da applicare in seguito;
N) Asciugare nuovamente la zona;
O) Applicare la medicazione indicata dal medico , seguendo fedelmente le indicazioni dei prodotti e in modo sterile;
P) Applicare la medicazione secondaria (compresse di cotone idrofilo, film semipermeabili) in base al tipo di lesione;
Q) Fissare la medicazione in modo corretto ed in base alla natura della lesione utilizzando a secondo del caso bende, cerotti TNT, bendaggi elasto compressivi come nel caso delle lesione di origine venosa;
R) Eliminare tutti i presidi utilizzati (pinze ,forbici,specilli)
S) Collocare nuovamente il paziente nella posizione a lui più comoda oppure obbligata ai fini terapeutici ;
T) Assicurarsi che il paziente non presenti eccessivo dolore dopo la medicazione:
U) Annotare eventuali osservazioni da riferire al medico;
V) Bonificare l’ambiente prima di effettuare un’altra medicazione;

La frequenza del cambio della medicazione dipende dalla condizione della ferita e dalle singole caratteristiche delle compresse utilizzate.
Va evitata il più possibile una sostituzione inutile poiché ogni cambio della ferita costituisce un disturbo del riposo della ferita.
Per principio la medicazione va controllata ed eventualmente sostituita se:
· il paziente lamenta dolori;
· è subentrata la febbre;
· la medicazione si è macerata e sporcata , oppure la sua capacità assorbente è esaurita;
· il fissaggio si è staccato.
A differenza di una ferita asettica e a guarigione primaria, per le quali la medicazione resta chiusa fino alla rimozione dei punti di sutura, salvo complicazioni, nelle ulcere valutare la frequenza del cambio della medicazione diventa più difficile perché vanno considerati alcuni aspetti fondamentali: stato di
granulazione e di epitelizzazione , oppure presenza d’infezione o eccesso di essudato, negli ultimi due casi la sostituzione può rendersi necessaria anche due volte al giorno.
Quando invece la ferita è pulita , priva d’infezione e diventa man mano visibile il tessuto di granulazione, è possibile ridurre la frequenza delle medicazioni, usando come accennato in precedenza compresse idroattive che possono restare sulla ferita anche per più giorni.


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3 commenti:

Claudio ha detto...
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Claudio ha detto...
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Anonimo ha detto...

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